Mauro Montacchiesi

Il diorama del mio labirinto

  

Il Diorama del mio Labirinto (Labirintismo)

 

Prefazione bis dell’autore

 

“Labirintismo: perché? Ascrivo al Labirintismo un’ermeneutica esistenziale! Lo contemplo come

 

una mia istanza inderogabile di approdare AD IMA FUNDAMENTA, ovvero ai miei più imi precordi, là, nell’ostello dei miei sentimenti, delle mie emozioni, con l’auspicio di far luce tra i meandri del mio intricatissimo plesso interiore o, paradossalmente, da esso trarre luce da portare in superficie.” Mauro Montacchiesi

 

 

 

Il presente elaborato è costituito da 34 pagine formato A4. Inizia con un glossario dei termini parasintetici costruiti dallo scrittore. Segue con 32 riflessioni poetico-labirintiste, per continuare con il Diorama vero e proprio, che intende dare una descrizione ovviamente personale e congetturale del proprio labirinto e, per analogia, di quello umano in senso lato. L’elaborato si conclude con ulteriori tre riflessioni poetiche labirintiste. Il labirinto è sommariamente descritto come 11 specchi distribuiti sul corpo umano, che si trova in posizione supina all’interno dello stesso labirinto. Una parte centrale (testa, tronco e gambe), due braccia (destra e sinistra). L’elaborato si conclude con tre riflessioni poetico-labirintiste. Glossario del Labirintismo: I termini parasintetici qui riportati sono stati coniati sulla base del Dizionario De Mauro-Paravia e sulla base dell’Enciclopedia Sapere. Alcuni accenti non sono esatti, perché mancanti su tastiera.

 

 

 

anatetico= da anà: verso l’alto, in alto+ thésis: posizione

 

aniloide= da an: alfa privativo eufonico+ hyle: materia+ oeidos: forma, somiglianza

 

aniloismo= da an: alfa privativo eufonico+hyle: materia+ ismo: stato, condizione

 

arrenoide= da àrrhenos: maschio+oeides: forma

 

atelantropo= da a: alfa privativa+ teles: perfetto+ànthropos: uomo

 

austrotropico= da austros: sud+trépo: volgere in direzione di

 

boreotropico= da boreos: nord+trépo: volgere in direzione di

 

cacotrofismo= da kakòs: cattivo+trofismo: nutrimento, stato di nutrimento

 

catatetico= da catà: verso il basso, in basso+ thésis:posizione

 

cosmotesmosofia= da kòsmos: ordine, mondo+tèsmos: legge+ sophia: conoscenza

 

cryoplasto= da cryos: freddo, gelo+plassein: formare, da cui “cosa formata”

 

diedrico= da di: due+hèdra: base, faccia

 

egosofia=da ego+sophìa: coscienza, conoscenza, conoscenza esoterica

 

fenomorfologia= da phàino: far apparire, apparenza+morfologia

 

idiomorfismo: da ìdios: proprio, caratteristico+morfismo

 

infratetico= da infra: in mezzo, più in basso+thésis: posizione

 

iperdolico= da iper+dolichòs: lungo

 

mesotattico=da mésos: medio mediano e da thésis: posizione

 

metabiosi= da mèta: con, insieme, aggregato, ecc…+biòsis: condizione di vita, vita

 

olomeria= da hòlos: tutto+méros: parte, porzione

 

olosofia= da hòlos: tutto, intero+ sophia= conoscenza, sapere…

 

ontotelismo=  da òntos: essere, esistenza+ teles: perfetto

 

ortarchia= da orthòs: corretto, giusto, esatto, …+archo: essere a capo di

 

ortosofiognosia= da orthòs: corretto, giusto+sophia: conoscenza, credenza esoterica,

 

sapere+gnosis: conoscenza

 

ortotassia= da orthòs: corretto+taxis: disposizione, ordine, schieramento

 

ortotetico= da orthòs: diritto+thésis: posizione

 

pleomorfosofia= da plèos: in abbondanza eccessiva+morfo+sofia=esoterismo dalle forme

 

eccessive, abbondanti

 

proteimorfismo= da Protéus: divinità marina che assumeva molte forme+morfismo

 

sofiognosia= da: sophìa: conoscenza, credenza esoterica+gnòsis: conoscenza, percezione

 

stereocronia= da stereòs: spaziale, temporale+chrònos: tempo

 

steroide= da stereòs: spaziale+oeidos: somiglianza, forma, relazione

 

streptocoro= da streptòs: contorto+ chòros: spazio, regione

 

tanatoide= da thanàtos: morte+ oeidos: forma, somiglianza, relazione

 

teratofania= da téras/tératos: mostro+ phainestai: apparire

 

trimerico= da tri+méros: parte

 

xènoide= da xénos: strano, estraneo, stranieri+oeidos: forma, somiglianza

 

xifoide= da xiphos: spada+oeidos: forma

 

-

 

…di un fiore di Venus

 

 

 

Lentamente lascio calare le palpebre.

 

La mia mente inizia la sua catabasi,

 

inizia a percorrere le profonde, tortuose anse,

 

dei segreti, impenetrabili sentieri del mio labirinto.

 

La mia mente non vede, la mia mente ha percezioni

 

oggettivamente icastiche di quella realtà che non vede.

 

La mia mente ha percezioni sinestetiche

 

del buio che non vede, del freddo che non sente,

 

dell’umidità che non la penetra.

 

Poi, disperatamente, nel fondo del mio labirinto,

 

percepisce una botola che si disintegra,

 

una botola che la fa precipitare ancora più giù,

 

oltre quel fondo che credeva invalicabile confine,

 

centripetata da un maelstrom,

 

che la risucchia, nella percezione di un bènthos

 

e lì, paradossalmente, in un caleidoscopio di metazoi,

 

vede, sente, s’inebria di un fiore di Venus,

 

blandito da tèpide acque.

 

Questo simbolo di amore eterno,

 

ha ridato speranza alla mia mente,

 

che vagava in una brughiera di superficie,

 

che è colata a picco,

 

che non ha toccato il fondo soltanto perché è andata,

 

attraverso, oltre il fondo,

 

che è stata centripetata da un maelstrom,

 

per scoprire, per capire,

 

che ovunque, che inopinato, si può trovare l’amore.

 

-

 

Una liturgia mistagogica

 

 

 

Nel mio labirinto di specchi

 

si rifrange il glissando di una cetra orfica!

 

La mia scettica acatalessia

 

non mi comporta, invero,

 

di comprendere se sia lo stesso,

 

mitico aèdo Orfeo, col suo plettro,

 

a blandirne le corde!

 

E laggiù, in quel mio diorama,

 

in quella mia grande tela di scene dipinte,

 

dove giochi di luce tutto fanno sembrare reale,

 

ma dove tutto è una Fata Morgana,

 

laggiù, nei penetrali,

 

nei plessi più reconditi del mio labirinto,

 

avverto, senza vedere, una liturgia mistagogica

 

che mi centripeta, che mi coopta,

 

ma che poi mi centrifuga verso l’ascetica anagogia,

 

verso la catarsi dell’anima,

 

unici egressi dalla reclusione della materia!

 

-

 

Il mio pensiero è…

 

 

 

Orfeo, amico mio!

 

Smettila di far vibrare la cetra!!!

 

Ho bisogno di pace, di chiudere gli occhi,

 

di scendere in fondo!

 

Voglio rivedere il passato,

 

voglio risentire le voci.

 

Rivedere, risentire,

 

tutto ciò che non ho capito,

 

tutto ciò che non ho sentito.

 

Ed ecco, repentinamente,

 

si congela il mio pensiero.

 

Pensare, per me è indispensabile,

 

respirare, non lo è!

 

Io sono un aniloide,

 

anatematizzato ad essere un aniloide.

 

Il mio pensiero è un cryoplasto,

 

una stalattite di ghiaccio,

 

la scettica epochè del mio aniloismo,

 

che perturbabilmente imperturbabile,

 

nulla accetta, nulla ricusa,

 

nulla afferma, nulla nega.

 

Così,

 

tra i paradossali meandri del mio labirinto,

 

l’aroma vitale ancora respiro,

 

delle più sofisticate utopie.

 

-

 

Un sofocleo atelantropo

 

 

 

Tra utopia e chimera,

 

tento un’endoscopia del mio labirinto

 

e lì mi vedo come una stella nana,

 

compagna di viaggio

 

di una stella che non ha mai brillato!

 

E lì mi vedo come la deflagrazione

 

di un Big Bang che non si è mai espanso!

 

Sentimenti, pensieri, volontà:

 

sono elementi alieni al mio labirinto,

 

forse mai geneticamente immanenti!

 

E lì mi vedo, come Kirk,

 

il Comandante di un’Enterprise mai costruita,

 

che naviga, senza navigare,

 

in un cosmo mai generato,

 

che naviga, senza navigare,

 

nelle psichedelie di un metempirico quid,

 

che ha fatto di me un sofocleo atelantropo!

 

-

 

Ma cos’è la stucchevolezza…

 

 

 

Oggi ho una sensazione di malessere,

 

un intenso desiderio di rigettare!

 

Sudorazione, salivazione eccessive!

 

Senso di repulsione, di disgusto,

 

causati dalla stucchevolezza degli stereotipi.

 

Ma cos’è la stucchevolezza degli stereotipi,

 

se non la stucchevolezza del mio stesso stereotipo!?

 

Ogni istante trascorso adesso è diverso,

 

in quanto adesso non è prima!

 

Ogni istante è quello che è,

 

in quanto mai ce ne è stato altro simile!

 

L’uguaglianza assoluta,

 

la corrispondenza perfetta,

 

esistono solo nel mio labirinto,

 

che fallacemente tutto,

 

adesso, rende simile!

 

La realtà è un polimero,

 

ridotto a monomeri

 

ora uguali, ora diversi tra loro,

 

una serie di angoli ben definiti.

 

Ma il mio labirinto difetta di nuovo

 

di rifrazione, di messa a fuoco,

 

e tutto ridiventa confuso, imperfetto,

 

e così, disperatamente, irrimediabilmente,

 

si disorienta e si perde nella foschia densa,

 

nella foschia umida del suo eterno diallelo!

 

-

 

Ma allora, chi?

 

 

 

Il mio labirinto è come un luogo

 

di dannazione e di eterno dolore

 

che mi sogghigna, negandomi, tuttavia,

 

pure il cinico, ma reale, quasi umano,

 

sogghigno dei demoni.

 

E’ l’alienazione farneticante di un cosmo abiotico.

 

Il tanatoide itinerante coartato

 

a vagare effimeramente nel mondo della materia!

 

E’ l’esplosione di tutte le stelle

 

e galleggia nell’assenza di luce,

 

sconquassato da una tempesta cosmica,

 

non con una potenza divina che l’abbia ordinato.

 

Ma allora, chi?

 

E’ un’essenza priva di sé stessa,

 

che vaga nel buio di una notte mai calata.

 

E’ un’utopia, uno xenoide, un ossimoro esistenziale,

 

che pensa senza pensare, che sente senza sentire,

 

che piange senza piangere!

 

La mia anima è spirata al suo primo vagito

 

ed il mio labirinto non l’ha mai incontrata!

 

-

 

In quegli atri streptocori

 

 

 

Ad orto nel mio labirinto

 

vagisce una tremula stella

 

ad occaso un’altra singultando si eclissa.

 

Nel mio labirinto del mio unico Dio

 

del mio Dio universale

 

epifania mai v’è stata.

 

Laggiù

 

mai teo- bensì teratofanie

 

bensì psichedeliche chimere.

 

Adesso soltanto reliquie di un chrònos

 

di un chrònos alieno ad ogni alfa

 

di un chrònos alieno ad ogni omèga.

 

Tutti i riverberi dei miei teratoidi

 

delle mie chimere

 

mie inscindibili ipostasi

 

chissà perché sembrano avere

 

un sempre più sapido aroma.

 

Priva di luce

 

la ragione insiste a concimare

 

una terra solo un tempo ferace.

 

Alienato il mio labirinto

 

coltiva la paradossale utopia

 

dei suoi ancestrali feticci.

 

In quegli atri streptocori

 

una stella neonata altro non è

 

che un’effimera vibrazione di luci.

 

La mia anima ha abiurato alla catabasi

 

negli inferi del suo labirinto.

 

Il suo il mio labirinto

 

è tornato ad essere opaco

 

troppo catafratto

 

per la mia ormai anodina mente

 

nonostante i barlumi

 

di una neonata stella innocente.

 

-

 

Ha bisogno di requie

 

 

 

Il mio labirinto vuole fortemente, velocemente

 

alienarsi da questo posto.

 

Alienarsi da ogni cosa di cui ha già nozione.

 

Alienarsi da tutte le cose per cui nutre un sentimento.

 

Il mio labirinto vuole fortemente,

 

velocemente alzarsi in volo

 

e non per planare nelle favolose ricchezze

 

di leggendari eldoradi.

 

Gli andrebbe di planare

 

in un misero pueblo o in un convento di clausura,

 

purché non ricordino questo posto.

 

Il mio labirinto

 

prova nausea per queste facce increspate,

 

si sente cristallizzato in questi vecchi stereotipi,

 

si sente soffocare dall’aria stantia

 

di queste ore monocolore.

 

Il mio labirinto ha bisogno di requie,

 

ha bisogno di sentirsi un alieno

 

dalla sua ormai inscindibile maschera.

 

Il mio labirinto ha bisogno

 

che si interrompa la sua coscienza,

 

come sussulto esistenziale e non come quiete.

 

Una semplice palma su una battigia della Polinesia,

 

o addirittura una tenda su una balza scoscesa,

 

gli può garantire tutto ciò.

 

Sfortunatamente il mio libero arbitrio

 

non è capace di garantirglielo.

 

-

 

…con le ombre del tempo

 

 

 

Il mio labirinto è smarrito

 

in questa brughiera deserta.

 

E allora, cos’altro gli resta

 

se non il dialogo

 

con le ombre del tempo?

 

-

 

…come una trottola…

 

 

 

Il mio labirinto è un asse di rotazione

 

che su sé stesso come una trottola prilla,

 

solo in virtù di un’asimmetria delle sue cupe voragini.

 

Il mio labirinto è come un pianeta senza materia

 

nella cui orbita ellittica quella trottola prilla,

 

ma inutilmente e soltanto perché un’orbita

 

deve pur avere un pianeta per esistere!

 

Il mio labirinto è un abisso senza materia,

 

ma con i limiti imposti dalla materia!

 

Il mio labirinto è la leva d’appoggio di qualcosa

 

dove però non poggia nulla!

 

-

 

Come in un turbine…

 

 

 

Il mio labirinto sembra

 

il tourbillon di un inchiostro di pece,

 

il delirium tremens stereoide,

 

la rotazione illusoria

 

che circonda l’assenza di materia,

 

e in quest’assenza di materia,

 

rimangono paradossalmente sospese

 

le sue platoniche anamnèsi, le sue idee,

 

a lungo meditate nell’iperuranio,

 

prima di questa nuova metempsicosi!

 

Come in un turbine, lì, paradossalmente,

 

girano alberi, stelle,

 

vibrazioni di melodie aliene,

 

rapsodie parapsichiche!

 

Come in un turbine, un turbine bièco,

 

come un tunnel che mai approda alla luce!

 

-

 

Come in glauca notte…

 

 

 

In queste ore, in guisa inopinata,

 

nel mio labirinto avverto un’impressione

 

ineffabile, incerta,

 

ma verosimilmente, paradossalmente esatta.

 

Il mio labirinto ha inteso,

 

grazie ad un insondabile, arcano,

 

congetturale bagliore si stella,

 

come in glauca notte rutilante d’oro,

 

ha inteso che è il labirinto del nulla.

 

Del nulla, senza limitazioni o restrizioni, del nulla.

 

Nella glauca notte rutilante d’oro,

 

ho visto chiaramente che quello che credevo

 

un ammasso di cemento brulicante di vita,

 

era invece un gerbido, un terreno brullo, incolto:

 

una vera, desolata brughiera!

 

E l’ipotetico bagliore di stella è diventato ex-abrupto

 

un riflettore bieco, torvo,

 

che ha reso icastico il mio vero labirinto,

 

scusso di qualsiasi firmamento.

 

Qualcuno si è impossessato della mia ipostasi

 

prima ancora del chàos primordiale

 

e l’ha resa simpatica alle mutazioni accidentali!

 

Qualcuno mi ha obbligato ad entrare nel mio corpo,

 

per dare struttura al mio labirinto,

 

senza che io abbia fatto qualcosa ,

 

senza che io ne abbia dato il consenso!

 

-

 

…un istrionico guitto

 

 

 

Il mio labirinto è un callido dissimulatore,

 

un istrionico guitto.

 

Talmente bene dissimula,

 

che financo si vale a dissimulare

 

che sono terebranti aculei di rosa canina

 

quelli che profondamente con dolor lo trafiggono.

 

-

 

…attor primo Teseo

 

 

 

Come un’aquila in alto mi sono librato

 

fino al cacume più sublime più luminoso del Koh-i-Noor

 

per una più eccelsa più icastica visione d’insieme e da lì

 

ho poscia preso l’abbrivio

 

della mia odeporica avventura iniziatica

 

adimandomi verso il più occulto

 

ieratico ganglio del mio labirinto.

 

In quest’arcana xenuranocromia io

 

di un èpos attor primo Teseo

 

in quest’arcana xenuranocromia io

 

anelo ritrovare l’indivisibilità smarrita della mia mente

 

chissà forse mai geneticamente immanente!

 

Il mio labirinto un oppido mistagogico

 

posto ad usbèrgo del mio Sancta Sanctorum

 

delle più preziose sue gemme

 

del più divino suo afflato

 

delle sue certezze d’eterno!

 

Il mio labirinto l’oppido mistagogico del mio delubrio

 

delle sue atre tortuose latèbre!

 

Il mio labirinto il plesso di anfrattuosi angiporti

 

il romeaggio anagogico nella mia

 

della mia Terra Santa!

 

L’egresso da questo palingenetico dumoso diallelo

 

ottriato sarà solo dopo che avrò accettato l’osmosi

 

del mio ginecoide della mia anima

 

della mia Arianna che il suo filo a me porgerà.

 

Il mio labirinto il mio romeaggio interiore

 

nel teorema escatologico del mio “sé” più imo e remoto.

 

Laggiù, nel più occulto ieratico ganglio del mio labirinto

 

il mostruoso Minotauro il mio è recluso!

 

Il mio labirinto un plesso contorto di angiporti tunnel latèbre

 

edificato da uno gnostico Demiurgo Superno!

 

Laggiù il mio Monte Tabor!

 

Laggiù nel volto trasfigurato del Minotauro

 

che annichilare dovrò il mio intravedo!

 

-

 

…nell’essenza del nulla

 

 

 

Un archimedeo ubi consistam una logica ratio

 

vagheggiar d’incontrare nei cupi anfrattuosi abissi

 

del labirinto: il proprio.

 

Ed invece smarrirsi nell’essenza del nulla.

 

Dallo stesso nulla poi

 

bagliori di una stoica apocatastasi:

 

dopo la distruzione il ritorno al chàos originale.

 

Sentire le prime grida di una psiche che

 

tra i dumi celati dai candidi petali

 

della canina rosa del dolore

 

già lacerata si libra dal chàos.

 

Sentire la vacua deflagrazione pristina alla genesi

 

dell’indistinto dello zero in cui è celata ogni probabilità

 

del non identificato dell’uovo cosmico

 

che racchiude l’ermafrodito.

 

-

 

Spettri muti

 

 

 

Mostri senza testa abominevoli mi perseguitano:

 

spettri muti di un incubo muto.

 

Tra uno squarcio di plumbee nubi

 

una luna dai bagliori torvamente scarlatti

 

irrora la stanza di gelido sangue.

 

Inesorabile imperversa la grandine

 

sull’appannata finestra

 

sulle tenere rose che piangono petali.

 

Solo un fioco sussulto di vita.

 

Chiudo gli occhi

 

fuggo disperatamente nel nulla del mio labirinto.

 

Il terrore che congela che blocca.

 

Una luce aliena mi prende vuole rapirmi.

 

Un urlo straziante che implode

 

un pianto disperato che muore

 

una morsa che stringe i polmoni:

 

aria, quant’è preziosa l’aria!

 

Le rigide membra hanno un sussulto

 

apro gli occhi il sudore mi ammanta.

 

L’aurora sorride

 

sui rigogliosi papaveri del dubbio

 

lungo il sentiero che declina al tramonto

 

tra chimere inquietanti.

 

Risprofondo nel sonno,

 

fantasie oniriche del mio labirinto,

 

chissà, incosciamente agognando

 

un ponte con altre dimensioni

 

dove qualcuno mi spieghi chi sono.

 

-

 

…proteimorfe creature

 

 

 

Da anodini profili

 

riverberi scialbi si scindono,

 

quasi fragili, effimere larve

 

dalle pupille abbacinate d’intenso bagliore.

 

Nel cuore di iceberg ialini si diffrangono,

 

cryoxifoidi, innevati machetes

 

che terebranti arrivano al cuore

 

di smeraldo-rubino cromati fastigi.

 

Di smeraldo, come mari brillanti,

 

di rubino, come labbra vermiglie.

 

E poi, ancora più giù,

 

fino alla pece viscosa del mio Labirinto!!!

 

Dervisci rotanti in rituale una danza,

 

vorticosamente nell’etere come trottole prillano

 

fino a mistica trance,

 

si alternano, riverberi trascendenti,

 

proteimorfe creature, quasi in stereoide surplace,

 

sulle inquietudini, sulle angosce del mio labirinto.

 

Di fuggire, di abbandonare ogni cosa, gli sussurrano!

 

Privo di materia spiccare il volo, nell’universo privo di forma!

 

Iperuranio di riflessi, diafano, dove aliano erratiche

 

le platoniche anamnesi del mio labirinto,

 

dove si rincorrono i suoi amori vissuti,

 

fino a precipitare su desertiche dune

 

dove regnano xerofiti, piovre che tutto  abbrancano.

 

Unica linfa: un lago salato!

 

Emozioni confuse. Pensieri terebranti.

 

Sulle onde del tempo si umettano

 

anche le pupille del creato!

 

-

 

Nei laghi opachi…

 

 

 

Nel bindolo dell’esistenza,

 

si dipana con alterne vicende lo stame delle Parche,

 

eversamente al labirintico plesso, che vieppiù s’aggroviglia!

 

Lo stallo della mente smarrisce,

 

negli arabeschi del tempo, ogni ragione.

 

Nei laghi opachi, torbidi, del labirinto,

 

irremeabilmente, lubricamente

 

glissano, sprofondano, annegano:

 

Muse, crisantemi di gioia, calendole di dolore.

 

Nei fondali, laggiù,

 

come spade acuminate a lacerare ogni afflato,

 

irte, cristalline, adamantine, stalagmiti,

 

che lo stillicidio delle affrante calendole,

 

cadendo, ha scolpito.

 

Del cuore, d’ogni speranza depauperato,

 

i vibranti, postremi rantoli in uno spasmo,

 

crudelmente lacerano!

 

Lo stame delle Parche

 

con dolore annaspa, con viscoso stridore incede,

 

le tetre gramaglie della notte

 

sull’obnubilata ragione calando.

 

Delle fantastiche, mostruose chimere,

 

sulle ali si bloccano,

 

alienazioni, paradossi, psichedelie.

 

Della mente ogni luce, sempre più fioca,

 

negli anfratti del labirinto, centripetata dal buio,

 

si eclissa.

 

Delle poesie annegate, il senso,

 

laggiù, tentar di trovare, inerme.

 

Eppur la vita bramare.

 

Inerme, subire orrori, voci, violenze.

 

Ultima Dea: l’inflessibile, l’estremo, l’ineluttabile:

 

il sublime amplesso di Atropo!

 

-

 

…vascello fantasma

 

 

 

Alla deriva vascello fantasma

 

senza bussola navigo

 

in balia di oceani alieni

 

ammantati di foschie dense opache

 

come le tenebre degli angiporti

 

del mio labirinto.

 

Con la mente la desertica quiete

 

del mio labirinto penetro

 

ma vi trovo soltanto amnesie.

 

Da questo tetro silenzio alienarmi vorrei.

 

Isterica nera una tarantola

 

ha secreto finissimi fili d’acciaio

 

intorno al mio labirinto

 

intorno alla mia sotterranea segréta.

 

-

 

Sul magico Dryon

 

 

 

Bianca rossa purpurea invereconda peonia

 

della caducità della passionale Regina

 

mancipia nel labirinto di streptomorfa memoria

 

di Poseidone il teratoide perplesso anatema

 

con nequizia quasi piranha mi sbrana.

 

Vessatorio cilicio del giudice l’angoscia dell’Ade

 

con veemenza l’olocausto reclama

 

dei bianchi lillà della mia vita

 

dai verzieri dell’Ego.

 

Sul magico Dryon alle Moire

 

Anacoreta l’anima mia abiurare dovrò.

 

Viatico postulo al teratocida giovane Re.

 

Per infilzare i dilemmi nel cuore

 

il fioretto l’amore sarà!

 

-

 

…drudo germoglia

 

 

 

Oggi,

 

che faticosamente più impervia è la strada,

 

e di un amore indefinito

 

il dubbio il mio incedere logora,

 

anacoreta, sul passato rifletto.

 

Oggi,

 

che l’eco assordante del tempo,

 

più forte e vibrante esplora la mente,

 

inabissarmi desidero nel mio labirinto.

 

Il giallo crisantemo del dolore,

 

che là drudo germoglia, che fragrante stordisce

 

elucubrazioni, sentimenti, emozioni,

 

estirpare io voglio.

 

Però, come pania di vischio,

 

mi cattura il mio labirinto,

 

e opaco rende il futuro.

 

In queste ore, sovrano è della mia mente,

 

che tra i meandri confonde.

 

Il dedalo più arcano della vita,

 

il ritorno alla luce, il teorema della verità,

 

nei suoi intricatissimi, picei plessi,

 

gelosamente, ermeticamente, racchiude.

 

-

 

…della Sostanza Increata

 

 

 

Un ippogrifo erratico, questo è la mia mente!

 

Un’aquila reale dalla dorata livrea

 

che tra labirinti siderali vorticosa s’aderge.

 

Un destriero remoto dalla suggestiva malia

 

che tra steppe aduste indomito corre.

 

Tra labirinti siderali tra steppe aduste

 

la mia mente ricerca la sua anima

 

la sua essenza vitale

 

spècolo della Sostanza Increata.

 

L’ippogrifo erratico alia

 

tra rifrazioni di pianeti in deliquio

 

galoppa tra fate morgane di dune roventi.

 

Tra pianeti in deliquio IO mi devo inoltrare.

 

Tra dune roventi IO mi devo fermare.

 

Nella foschia del crepuscolo

 

nelle fiamme della Gehenna

 

il vero mio IO

 

seppure struggente voglio vedere.

 

-

 

She’ar Harahamim (1)

 

(La Porta della Misericordia)

 

 

 

Il mio labirinto cimento ch’io

 

argonaut’errabondo (3) non oggi Tesèo (2)

 

affrontar devo prim’ancor

 

d’approdar alle sponde della Gerusalemme Celeste.

 

Il mio labirinto cosmo di paradossale magia

 

esoterico ermetico arcano dove collidono

 

energie trascendenti forze sataniche!

 

Il mio labirinto teoria di cerchi centripetati

 

di simmetria dal medesimo ganglio

 

talor secati da formar eterocliti anfrattuosi dialleli!

 

Il mio labirinto scabrose segrete latebre seguir

 

per approdar al Centro dov’occorre la singolar tenzone

 

tra i miei “sé” divino bestiale

 

tra il mio spirito la mia materia.

 

Il mio labirinto catarsi purificatrice liberatoria

 

per approdar alla Luce s’intreccia s’intrica!

 

Teorie di fallaci Fate Morgane di anse vicoli ciechi

 

vieppiù mi centrifugano dall’egresso anelato!

 

Il mio labirinto luogo talora diventa

 

di dannazione d’eterno dolore

 

di fallacia d’inviolabile d’avventura!

 

La verità laggiù diventa utopia

 

come pur approdar alla Luce

 

se solo tento d’usare la mente!

 

Solo la fede in Dio può darmi salvezza

 

poiché io di latèbre in un diallelo sono recluso

 

fallaci aberranti da cui mi può affrancar non la ragione

 

bensì la Grazia Divina

 

che sulla She’ar Harahamim della Misericordia la Porta

 

meritar dovrò camminando su un ponte di carta!

 

-

 

Note didascaliche

 

(1)    In arabo: Bab al-Rahmeh-Porta Bella, Porta Aurea o Porta della Misericordia, sul lato est di Gerusalemme. Fu chiamata Porta della Misericordia in quanto, il giorno del Redde Rationem, due ponti paralleli saranno gettati sulla vicina valle. Un ponte di ferro, l’altro di carta. Gli empi, privi di fede in Dio, opteranno per la certezza del ponte di ferro che, tuttavia, crollerà, scaraventandoli negli inferi. I credenti, gli equi, opteranno per il ponte di carta, che Dio sorreggerà quale ricompensa della loro fede e li salverà, conducendoli così fino alle sponde della Gerusalemme Celeste.

 

(2)    Nell’interpretazione laica del Labirintismo, l’eroe Tesèo si identifica con l’adolescente che inizia il viaggio iniziatico di maturazione e che verrà aiutato dal Filo di Arianna (La Ragione)-“…non oggi Tesèo” perché in questa circostanza do un’interpretazione PREVALENTEMENTE religiosa al Labirintismo.

 

(3)    Nel Labirintismo religioso la figura di Tesèo assume quella del pellegrino errabondo che, in  luogo della ragione, usa la fede. Parlando di “…sponde della Gerusalemme Celeste”, ho usato il termine Argonauta, in quanto, per traslato, coraggioso navigante, che verrà aiutato dal Filo di Arianna (La Fede).

 

-

 

Anamorfòsi di luce

 

 

 

Senza una mèta precisa la mia mente lascio planare

 

tra le variabili estemporanee effimere

 

del mio precordio intricato

 

bramando l’occulto mio Io riflesso

 

per penetrarlo per viverlo dentro per sapere chi è!

 

Anamorfosi di luce

 

il mio labirintico precordio deformano

 

più non discerno il complanare dall’ortogonale

 

più non capisco se ciò che vedo

 

è l’approdo al mio Io riflesso o soltanto una Fata Morgana!

 

-

 

… escheriana entropia

 

 

 

Il Labirinto estuoso gorgo in burrasca

 

non si lascia sondare

 

guado imo contorto scusso di egrèssi

 

immane cul-de-sac.

 

Alieno il rettifilo assioma le simmetrie smarrite.

 

Il labirinto prostrante escheriana entropia

 

valere a districarla

 

significa costituire di nuovo gli archetipi.

 

Labirintico mundus minor la fugace esistenza.

 

E’ necessario scender nell’arena

 

risalir con la palma della minotauromachìa

 

unico adito al mundus maior

 

dell’Eterno Signore Sovrano

 

dei Celesti Suoi Drudi annichilatori del male.

 

Anàbasis dal labirinto

 

ergo districare l’entropia

 

ergo sconfiggere le tenebre.

 

Il labirinto diallelo mistagogico

 

di tramonti di aurore.

 

Il labirinto diallelo psichico

 

fedele atroce sodale

 

nell’intrecciato percorso verso il Divino Sapere!

 

-

 

…di eterno diallelo

 

 

 

Labirinto

 

caleidoscopio teoria infinita

 

di frammenti di policromi cristalli

 

gioco di specchi rotanti

 

infinità di asimmetrie geometriche.

 

Labirinto cnossiano universo

 

conflàto di tempo di spazio

 

mancipio del Dharma-cakra

 

legge di eterno diallelo

 

legge di nascita morte rinascita.

 

Attivo passivo nel teorema della verità

 

nell’utopia dell’ordo rerum.

 

Labirinto alienato alia

 

tra inopinate realtà esistenziali

 

con entusiasmo fanciullo

 

con grido terebrante che frange la quiète

 

che si fa trasportare dal fluire del tempo.

 

Cupo rimbombo nel labirinto deflagra:

 

poesia amica con l’universo

 

armonizzante Nam-Myoho-Renge-Kyo

 

nemica al Samsara

 

anatemizzante schopenaueriano Velo di Maya!?

 

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…Selene d’argento

 

 

 

In una corrente fluida di congetture,

 

mi alimento di complesse,

 

paradossali acrobazie mentali,

 

e libo l’immenso, notturno universo.

 

Taglienti, algide lastre scompaiono,

 

tra turbinii di miscele esplosive,

 

tra impalpabili frammenti trasportati dal vento.

 

Vette maestose, illuminate da fioche galassie,

 

silenti s’inebriano d’un aere terso.

 

Ed intanto, i tuoi tèpidi raggi,

 

Selene d’argento, sinuosi scendono,

 

fino ai penetrali più reconditi della mia anima,

 

là, dove vibrano i simulacri delle mie ossessioni,

 

là, dove cinicamente respirano, sorde, immobili,

 

cariatidi, le mie divinità tutelari.

 

Laggiù, soltanto tu sai vedere,

 

senza giudizio, senza condanna,

 

le mie fantastiche, mostruose chimere,

 

mentre mi braccano, come lancette ritmiche di pendolo.

 

Pochi, molti, minuti, secondi, labili, eterni.

 

Marcia a ritroso nel tempo, mai statica.

 

Traguardo in perpetuo movimento.

 

Paradosso di due binari che non s’incontreranno mai,

 

simboli di una vita, che i tuoi occhi, Selene d’argento,

 

ancora riflettono, nel lago delle poesie clandestine.

 

-

 

-

 

Il pianeta(*)

 

 

 

Crudele è questo anelito di vita!

 

Prive di suoni le sue psichedelie!

 

Amaro è il disinganno nel non trovar la non caduca gioia!

 

Il pianeta gira, perché granitica è l’arcana mente

 

che lo fa girare.

 

Il pianeta, una burla atroce del creato.

 

Inferno florido o ègro paradiso?

 

Teratomorfa creatura

 

di un cinismo divo o della spuria copula

 

tra una mantide cosmica ed alieno un leviatano!?

 

Fallace, subdola è la chimera che mi nutre, con occhiate,

 

frigidamente remote, mellifluamente seducenti.

 

Mistificatrice pania, viscosa, che mi irretisce, che mi tormenta.

 

Algidamente languidi i suoi sguardi.

 

Vuoti i suoi giuramenti, che dolorosamente lacerano.

 

Frivola è la poesia che partorisce, che mi illude:

 

libero, nel dire, libero, nel fare.

 

Battitore son condannato sugli scalmi in ceppi,

 

a vogar s’una galèa, al ritmo d’un fatal tempo,

 

che giammai lo scandir suo muta!

 

A cosa serve la vita, voragine priva di fiori,

 

onde spenta pur una stella annega!

 

Quanta forza mi è stata data,

 

al sembrar carisma, invero lancia spuntata.

 

La vita è sofferenza, la vita è dolore, la vita è morte.

 

Clòto mi ha estirpato dal chàos primordiale.

 

Làchesi mi smeriglia con terebrante dolore.

 

Atropo, infin, mi rapirà da questa vita,

 

al suo ineluttabile, eterno, sublime volere.

 

 

 

(*) “Pianeta” è anche sinonimo di “Destino”= Le Moire

 

-

 

Natale nel Labirinto

 

 

 

E’la Vigilia di Natale

 

senza fretta cammino sovrastato da un cielo plumbeo.

 

Veliero relitto in mezzo al cemento.

 

La pioggia fredda s’insinua tra le crepe del legno

 

e poi la sento ancora più giù.

 

Le palpebre sono pesanti ma aleggia un’arpa nel cuore.

 

Poi la scossa di una brezza

 

che chiude un capitolo che ne apre un altro.

 

Per salutare il primo sacro vagito

 

del Bambinello Gesù

 

per non lasciarlo glissare nel nepente torpore dell’oblio

 

come nave in kermesse

 

con guarnizioni variopinte impaveserò il mio Labirinto.

 

La nave (*)

 

(*=Traslato: L’esistenza, il corso della vita/F. Petrarca)

 

che la mia nave

 

“Passa la nave mia colma d’oblio/

 

per aspro mare”

 

(Francesco Petrarca)

 

almen in questo tempo d’Avvento

 

non s’imbatta in onde increspate!

 

Sui propilei del mio Labirinto

 

del mio delubro dell’Io

 

d’iridescente madreperla

 

intarsierò il buon umore

 

nei suoi meandri lascerò fluire

 

diafani e puri torrenti di gioia.

 

Tra i rami tra le foglie tra gli aghi

 

del mio Albero di Natale

 

del mio intrecciato biodendro (*)

 

(* Bio=vita///-dendro=albero///Albero della Vita-Cabala ebraica)

 

dell’albero del mio veliero d’alto bordo

 

tra il frastuono di vele quadre e bompresso

 

dal maestral sconquassati

 

soffocherò il mio crepuscolarismo

 

le mie sofferte rinunce le mie inquietudini

 

le mie malinconiche gozzaniane tristezze

 

vi farò brillare intermittenze di giochi di luce

 

di caleidoscopi di giochi di specchi rotanti

 

vi accenderò la speranza vi farò vibrare la fede

 

e sotto tra i regali

 

la carità druda vi farò germogliare.

 

Benvenuto Cristo Gesù

 

Animae Salvator Meae!

 

-

 

…di un demone occulto

 

 

 

Mi sento come un relitto, come un naufrago,

 

dalle labbra riarse dalla salsedine,

 

dalla pelle strinata dal sole.

 

Un relitto, un naufrago, solo, smarrito,

 

su una zattera sperduta, alla deriva,

 

in balia di un estuoso, strano oceano alieno.

 

Un oceano,

 

che par somigliare all’afflato di un demone occulto,

 

che mi centrifuga, che mi stordisce!

 

S’addensano scuri nembi all’orizzonte,

 

forieri di pioggia.

 

Già, ma è pioggia acida e sotto,

 

solo squali e piranha!

 

Ogni cosa sembra avere

 

il carattere di una relatività estrema

 

e nel contempo di un chàos paradossalmente assoluto.

 

Vorrei tuffarmi nell’irreale, nel mio labirintico Es.

 

Ma oggi no! Oggi non potrò fuggire

 

dalla realtà del mio Ego!

 

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…in compagnia di Selene

 

 

 

La tua face, oh Ecate, Divinità Psicopompa,

 

nel mio labirinto, fulgida erompa!

 

Tu che libera viaggi, tra uomini e Dei o nel Regno dell’Ade,

 

la mente mia guida, nel labirinto, smarrita che cade!

 

 

 

Come la Cumana Sibilla, nel Regno dei Morti,

 

accompagna anche me, tra i tormentosi angiporti!

 

Tu che sei Dea d’incantesimi e spettri,

 

da me, laggiù, cosa vogliono gli orfici plettri?

 

 

 

Ecate Enodia, tu che proteggi i viandanti nei trivi,

 

proteggi anche me, nel labirinto, agli ignoti suoi bivi!

 

Proteggimi pur dalle tue figlie, le Empuse,

 

ch’illaquear mi sanno, trasformandos’in Muse!

 

 

 

Figlia di Asteria e del titano Persete,

 

le latebre mie illumina, fragili e inquiete!

 

Artemide, Diana o Selene,

 

di lune calanti, tu dipingi magiche scene!

 

 

 

Del Cancro, mio, astrologico segno,

 

è tuo, l’anamorfico regno!

 

Iside orfica, come dolce madre t’invoco,

 

porta calore e saggezza, nel labirinto mio fioco!

 

 

 

Chissà, forse d’Edipo è solo un irrisolto complesso,

 

ma piceo è il mio, chissà fanciullesco, labirintico plesso!

 

E così, in compagnia di Selene,

 

catabasi, anabasi, verso la Luce del Bene!

 

-

 

…del mio labirintico mare

 

 

 

Diserzioni dalla verità

 

colori di stelle deluse

 

mostruosi  disumani preistorici pterodattili

 

che sibilando picchiano tra diamanti carogne

 

da ogni parte schegge di roccia

 

miniere di gemme preziose

 

cave di selce banale

 

aloni magici di bagliori intensi

 

le tenebre il silenzio e poi il nulla

 

vago sul fondo del mio labirintico mare

 

mi sento controllato

 

qualcuno scruta questo mio vagabondare

 

qualcuno scruta i miei sogni

 

i segni che lascio laggiù

 

antri caverne marine

 

anse ricurve lische acuminate

 

riverberi cupi di voci di suoni

 

dispersi nel nulla

 

baratri oceanici

 

esploratori della notte del tempo

 

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Il diorama del mio labirinto

 

 

 

Il diorama del mio labirinto è un’iconografia metempirica e geroglifica, che consta di 11 specchi sferici, allineati su tre rette di cui: una mesotattica (testa, tronco, gambe “l’androgino”), una complanare di destra (braccio destro: maschile, attivo, razionale) ed una complanare di sinistra (braccio sinistro: femminile, passivo, intuitivo). La retta mesotattica consta di cinque specchi, mentre le complanari di tre specchi ciascuna. Gli 11 specchi sono raccordati da isoipse meandriche. La retta mesotattica è iperdolica rispetto alle complanari, con segmenti ana-(testa) e cata- (gambe) tetici. Gli specchi sferici rappresentano topiche astrazioni metempiriche, anapodittici stadi di egosofia. Gli specchi sono singolarmente relativi a contesti oggettivi ed emozionali da me vissuti nella mia prosa. Gli specchi sono 11 precipui sostrati, ipostasi del mio anarchico proteimorfismo ontologico, capaci di omogeneizzarlo, di valorizzarlo, di totalizzarlo. Gli specchi sono afferenti tra loro in virtù di una teoria di isoipse meandriche: 3 latitudinali, 7 longitudinali e 12 secanti.

 

Il diorama del mio labirinto è la pianificazione giusta la quale si è sviluppata la mia personale cosmogonia. E’ il limes catabatico lungo il quale la mia anima ed e la mia struttura ontologica sono approdate al loro attuale idiomorfismo. Il diorama del mio labirinto è anche il clivo anabatico, attraverso il quale la mia totale quintessenza ontologica può ritornare alla teleologia  cui ogni cosa agogna: la Fruitio Dei, il contatto con il Divino, la pienezza di vita, la liberazione dai limiti! Il diorama del mio labirinto è una torre, le cui segrete allignano nelle viscere della terra, i cui merli penetrano il cielo. Dentro questa torre le essenze di luce, id est, le pleomorfosofie animano la mia struttura ontologica, si adergono, si inabissano senza interruzione. Dentro di essa si aderge, si inabissa anche l’autocoscienza della mia condizione umana. Per intermediazione del diorama del mio labirinto, mi giunge la linfa vitale della dimensione metafisica, che permea la mia struttura ontologica. Questa linfa vitale fluisce e cala  attraverso le isoipse meandriche e gli specchi sferici, divenendo sempre più diafana, disgregandosi, fino ad intridere la mia struttura ontologica, che non ne può prescindere per continuare ad esistere. Nel diorama del mio labirinto gemmano le implorazioni e le inquietudini della mia struttura ontologica che brama Dio, che desidera scoprire nuove dimensioni, le dimensioni più sconfinate e divine della sua duale anima. ….Le tre rette del diorama del mio labirinto sono, in realtà, i tre percorsi di crescita della mia anima e, cioè: l’energia razionale (complanare di destra), la misericordia (retta mesotattica) e l’energia intuitiva (complanare di sinistra). Soltanto la retta mesotattica, il mio “percorso sovrano”, ha il potere immanente di operare la sinapsi delle antitesi. Se privato della retta mesotattica, il diorama del mio labirinto viene relegato dentro confini algidamente manichei. Le complanari di destra e di sinistra personificano anche le due antitesi fondamentali di tutta l’esistenza: quella maschile a destra e quella femminile a sinistra, dalle quali germina ogni altra polarità duale presente nell’anima. Il precetto precipuo che ne scaturisce è quello di una fusione osmotica delle caratteristiche maschile e femminile sia all’interno della mia egosofia sia  nei miei rapporti duali. Il peccato di presunzione si identifica nel voler conoscere profondamente la dualità senza aver prima maturato abbastanza esperienza della condizione di integrità divina, e senza aver prodotto tale integrazione all’interno del mio rapporto di coppia. Il male, in questo modo, propaga la sua essenza ferale. A causa del peccato di presunzione, il diorama del mio labirinto mi è stato a lungo occultato, per intercludere che io, con il morbo maligno di cui mi ero imbibito, avessi adito agli arcani, solo gnosticamente violabili, della vita eterna e, in siffatto modo, radicalizzassi il rizoma del male. Ho dovuto subire la falce della morte e la débacle della mia Turris Eburnea, del mio misoneismo, in quanto proprio questo, prima di rinascere dal chàos , io avevo concordato. Soltanto attraverso questi eventi nefasti, la mia ègra struttura ontologica avrebbe avuto modo di mitridatizzarsi  dalla quintessenza letale del cobra, per tornare ad essere l’anima immortale che Dio aveva emanato. Ogni evento drammatico e tormentoso è l’opportunità impagabile per comprendere la latitudine del gap esistente tra la condizione astratta della mente e quella reale. Tuttavia, agli iniziati, è concessa una strada più agevole, anche se non totalmente priva dell’assenzio del dolore, che permette di gustare la felicità e la compiutezza del diorama del labirinto: la sofiognosia! In una delle mie precedenti metempsicosi ho smarrito lo stato di beatitudine. A causa di ciò non ho avuto più diritto di adito al diorama del mio labirinto, il quale resta l’esclusiva, irrefragabile replica alle mie istanze di universalità, felicità ed immortalità che mi sono anamnesticamente immanenti. Il percorso catabatico che mena al diorama del mio labirinto, è sorvegliato da due Entità di luce, da ognuna delle quali sgorga una lingua di fuoco. Questo non vuol dire che il percorso sia totalmente impraticabile. Le due Entità di luce hanno dei lineamenti metafisici, una dai tratti arrenoidi, l’altra dai tratti ginecoidi. Raffigurano le due topiche antonimie ontologiche e si manifestano sui niveau più elati dell’egosofia. Man mano che le due polarità accorciano le proprie distanze, fino a conflarsi, le due Entità di luce dismettono il loro ruolo di “cerbero”, il cui dovere è quello di tenermi lontano se non ho il diritto di adito, ma che, al contrario, possono essere le monumentali colonne del propileo del diorama del mio labirinto. La loro energia diventa l’ubi consistam per me, che sto tentando di tornare alla Casa del Padre. …

 

Non è comunque semplice. Le due energie di luce sono lingue di fuoco xifoidi, a due facce. Sono l’emblema del duplice annichilamento della mia Turris eburnea. L’esilio da una vita precedente e l’esilio in questa vita. Devo subire questo duplice annichilamento, con una duplice débacle, (corporea e animica, psicologica e umana), sentendomi solo, privato della presenza e del conforto di Dio. Si può parlare di una duplice défaillance, sia su un piano reale ed oggettivo sia su un piano di

 

intima fede. Un’inconfutabile catarsi di iniziazione, che devo subire se voglio ritrovare la strada verso il Padre. Se dopo il dolore e l’esilio, la mia fede resta monolitica, se la mia Fruitio Dei ed il bisogno di verità assoluta permangono tetragoni, solo in questo caso mi viene concessa la visione del diorama del mio labirinto. Soltanto così avrò ritrovato la strada! E COSI’ E’ STATO!!! Le lingue di fuoco sono volate in alto, lasciandomi adito al diorama del mio labirinto e si sono posizionate sull’architrave d’ingresso al Tempio di Dio, della Conoscenza assoluta, ben oltre il diorama del mio labirinto. Ma lì, non mi è ancora concesso entrare! E’ il Tempio di Dio, della Conoscenza assoluta, della Ricomposizione dell’androgino, dei Giusti! Ed è lì che anelo arrivare,

 

ma prima dovrò prendere coscienza del diorama del mio labirinto. Consentaneamente a quanto già parafrasato, il diorama del mio labirinto altro non è che la pianificazione di Dio per dare struttura al mio microcosmo da inserire, alla fine dei cicli catartici, nella logica definitiva del Suo Macrocosmo. Gli specchi sono la genesi della mia olomerìa ontologica, sia relativamente alla mia natura corporea sia a quella psicologica e spirituale. Vediamo una sinopsi epigrafica della feno-morfologia del diorama del mio labirinto, prima di passare all’analisi dei singoli specchi. Intanto, l’elenco:-*) Nehvvuh 1) Nehluh 2) Rehreh 3) Kohpeh 4) Dyhtyhf 5) Lyhkahs 6) Vohqehs 7) Dehssuh 8) Luhf 9) Kyhtuhf 10) Nehmdahv . Nella retta mesotattica, da Nehluh, lo specchio anatetico, si irradia il fulgore che permea e da linfa vitale agli altri dieci. Infratetico a questo, Nehvvuh, uno specchio arcano il quale, anche ricoprendo un ruolo topico all’interno del diorama del mio labirinto, sembra nondimento essere una realtà aseistica. Da un punto di vista psicologico gli 11 specchi altro non sono che diverse condizioni della mia evoluzione psico-psichica. Lo specchio anatetico, Nehluh, è uno stato per me finora utopistico: la totale metamorfosi emotiva, fisica ed espressiva nel trascendente. Sotto Nehvvuh troviamo Vohqehs e, catatetici, Kyhtuhf e Nehmdahv. A destra di Nehluh, ortotetici, troviamo Rehreh, Dyhtyhf e Dehssuh. A sinistra di Nehluh, ortotetici, troviamo Kohpeh, Lyhkahs e Luhf. Analogicamente parlando, gli 11 specchi sono 11 condizioni dell’anima, 11 fonti di energia che potenziano incessantemente, se si riesce ad entare in simbiosi con loro, nel percorso di ritorno verso Dio. Gli specchi sono diedrici, un lato è boreotropico (relativo alla vita spirituale) e l’altro austrotropico (relativo alla vita fisica). Questa definizione vuole essere prettamente convenzionale per dare un’idea ma, in realtà, all’interno del diorama del mio labirinto non esiste dimensione, ergo, non possono esistere oggettivi punti di riferimento. Le caratteristiche sintetiche descritte fin qui, appartengono al lato boreotropico. Ma andiamo ad analizzare i singoli specchi dissertando, per ciascuno, di entrambe le facce, come già detto, da un lato spirituali, dall’altro fisiche.

 

N.1-Nehlum

 

Nehluhm boreotropico è il soprasensibile, l’indescrivibile, la fonte di tutta la luce che irradia gli altri specchi. E’ il contenitore di una struttura trimerica, che all’interno dell’anima significa fiducia in Dio, felicità mistica, volontà. E’ la causa primordiale, quella che supera tutte le apparenze. E’ la semente che contiene la genetica evolutiva della pianta. Creatività. Potenza. Volontà. Fusione cielo e terra. Opposte polarità: attivo-passivo, maschio-femmina. Capacità relazionale con qualsiasi elemento. Evoluzione. Volere, idea, obiettivo. Il divenire. Piano intermedio. L’infinito: potenzialità latenti e palesi. Spasimo, coraggio, pathos-istinto. Purezza, integrità. Infinito in quanto non-finito.

 

Inizio di tutte le cose. Metamorfosi costante e antitesi. Doppia valenza. Immortale ektopos, tuttavia sostanza in trasformazione a livello reale. Possibilità di evoluzione o involuzione. Ogni possibilità

 

è subordinata all’uso che si farà del potenziale creativo o auto-creativo. Essenza, esteriorità.

 

Nehluhm boreotropico è parola, definizione del chàos. Scissione congenita, non ancora manifesta.

 

E’ la semente immortale, la semente-maschio, lo spirito appena nato. E’ l’ermafrodito sgusciato dall’uovo cosmico. Ibrido di attivo-passivo. Eterno divenire. Palpitare della vita. Fiamme voraci della passione. Cielo. Creatività.

 

Nehluhm austrotropico è vigore, fortezza interiore. Anima. Penetrali di purezza. Vera essenza di sé. Recepire la propria sostanza significa abbattere le barriere. La corazza è superflua. E’ sufficiente

 

un’organza per coprire. Il vigore spirituale ha soggiogato gli istinti bestiali. Senza violenza. Senza repressione. Gli istinti addomesticati, ma fieri, sono al servizio e non alla guida. Il soggetto individuale si confronta con l’ordalia della catarsi dell’orgoglio. Sentirsi il centro dell’universo,

 

che condurrà a scoprire ancora di sé e di tutto ciò che sta oltre il sé. Accettare che l’interazione con l’altro si realizza in virtù della grazia. E’ un cimento di forza. Lo scontro tra le antitesi può essere

 

conciliato. Le energie attive sono trasmutate e depurate. E’ l’incipit della metamorfosi, della palingenesi esistenziale che è un elemento costante nell’evoluzione del ciclo. Equilibrio universale.

 

Purezza. Mediazione tra i mondi. Metamorfosi che deriva dalla dinamica a spirale del cosmo. E’ il punto di penetrazione dell’energia cosmica per la formazione del nuovo individuo universale.

 

N.2-Rehreh

 

Rehreh boreotropico è la folgore dell’intuito, della rapida percezione. E’ il luogo dove il super-conscio si incontra con il cosciente. E’ la semente dei concetti, la riflessione interiore, in cui i particolari non sono ancora distinti. E’ l’abilità, l’estro di tollerare le contraddizioni, di pensare in maniera contorta, ma sincrona. E’ una condizione alla quale si approda soltanto a momenti e, tuttavia esige una notevole maturità e pratica di vita. E’ la condizione di “astensione dal giudizio”, poiché con la saggezza si avverte come la verità sia soggettivamente poliedrica. E’ l’annichilamento del sé. Ciò sta a significare che è possibile approdare alla sapienza soltanto annichilando l’ego, scissore e scisso. Addentrarsi nell’invisibile, nel cielo e dare struttura evidente a ciò che è indefinito. Austerità e discernimento come sostanze che vivificano, che tuttavia si possono trasmutare in un subdolo moralismo. Apertura alle energie cosmiche. Dissuggellare e suggellare i grandi arcani. Esternare il proprio sapere veicolandolo in verità. Coabitazione delle antitesi. Sesso. Procreazione. Incarnazione. Crinale tra il manifesto ed il non manifesto. Energia che promana dall’essere individuale.

 

Rehreh austrotropico è l’olocausto dell’ego al fine di realizzare la relazione-comunione. E’ la comprensione, l’accettazione dell’abbandonarsi, del lasciarsi andare al fluire degli eventi. Adesso è evidente che nessuna cosa è fissa. Il nord ed il sud (vedi la mancanza di riferimenti all’interno del diorama del mio labirinto) , il cielo e la terra, sono soltanto proiezioni soggettive. Le radici dell’essere si inabissano indistintamente nel cielo e nella terra. L’anima ed il corpo hanno un valore equivalente. Tutto ciò significa tralasciare il vuoto dell’essere ed arrendersi dinanzi alle leggi della vita e della natura. E’ difficile. E’ stare in sospensione, ma con serenità. Struggente amore, privo di limiti.

 

N.3-Kohpeh

 

Kohpeh boreotropico è la morfòsi, il processo di trasformazione dei concetti, delle idèe elaborate da Rehreh. E’ l’ostello del pensiero dialettico, universale, sia nella sua struttura metafisica e platonica

 

che in quella pragmatica ed oggettiva. Si tratta di quella struttura di idèe che si basa sulle parole e che può essere interagita e condivisa in virtù della dialettica. Kopeh boreotropico è l’abilità di unificare nella propria personalità idèe e assunti eterogenei, metabolizzandoli e facendoli dialogare tra loro. Se Rehreh svolge alla perfezione le sue funzioni, l’attività mentale riesce ad agire simpaticamente ed attivamente sulle proprie emozioni, grazie alle verità rivelate e metabolizzate nella propria personalità. A stadi molto avanzati, Kohpeh boreotropico diventa veicolo di felicità,

 

diventa la trasduzione dell’ortosofiognosia nella felicità di aver trovato tante risposte fino a lì

 

sconosciute. Kohpeh è procreazione, processo di formazione del seme, dell’embrione. È la natura druda che vibra. E’ il perfezionamento della sinapsi tra Nehlum e Lyhkhas (vedi dopo  DYHTYHF). I due aspetti entrano in contatto ed in relazione tra di loro. L’aspetto ginecoide inostensibile fa mostra di sé, quello arrenoide si edulcora venendovi a contatto. Kohpeh è tuttavia più marcatamente ginecoide, rigurgitante e procace, nondimeno incarnando un potere ibridamene fallico. La natura è fecondata dalla forza della semente. L’integrità del cuore è supportata dalla passione. Intelligenza. Relazione tra le fasi di sviluppo. Sentimenti vivificati. Forza creatrice attiva. Osservare la maturazione dell’embrione. Porta verso la realizzazione. Le membra non sono rilassate, ma pronte ad affrontare gli eventi. Rapporto tra elemento fecondato ed elemento che feconda. Lo spirito trafigge la materia. Fusione tra terra e cielo. Ortotassia cosmica. Realizzazione dell’unità, dell’androgino. Vaso comunicante tra le antitesi. L’esistenza fluisce. Triplice stereocronia. Ieri, oggi, domani. Il mondo, l’aria, il cielo.

 

Kohpeh austrotropico è il rovesciamento della soggettiva realtà, germinata dalla distinzione dell’indistinto (Nehvvuh) a cui ogni cosa ritorna, al fine di compenetrare una più ampia realtà. Ergo,

 

è il nuovo avvento del chàos, che ha istanza di una pausa prima di andare avanti. E’ lo schiudersi di

 

una realtà inusitata con la presa di coscienza della conclusione e l’inderogabile presenza di spirito.

 

L’opzione, lo scegliere il nuovo percorso verso il quale orientarsi. E’ la pulsione che spezza lo stallo al cospetto di un’opzione di vita, di una lacerazione che catalizza la metamorfosi ontologica. E’ il lavoro buio, la trasduzione delle energie, che condurrà, per mezzo di un drammatico pathos, alla

 

palingenesi esistenziale, all’ontotelismo. Kohpeh austrotropico, ammantato di nero, non offusca il panorama, l’epilogo del ciclo, bensì sullo sfondo, in mezzo a due trorri duali, brilla l’energia solare, foriera di una nuova alba. Kohpeh austrotropico è forte , non c’è forza che lo possa contrastare. Il suo simbolo è una bandiera, trait-d’union tra il cielo e la terra, anch’essa nera come il manto di Kohpeh. Sulla bandiera campeggia una rosa, emblema di vita. Kohpeh cavalca un drago le cui fiamme sono la morte, sono la vita. Il drago è bianco: il colore della resurrezione, del non manifesto. Gli occhi sono rossi, come l’essenza che vivifica lo spirito. Nascita. Morte. Una fase esistenziale è dolorosamente terminata, per dare l’avvio ad una nuova, ad un livello superiore. Proseguire invece senza aver terminato il ciclo antecedente, senza aver fatto tesoro dell’esperienza,

 

ergo, senza essere in grado di sostenere la metamorfosi che Kohpeh implica, può diventare un’ordalia insostenibile. Kohpeh non è uno specchio di sfortuna, ma di dolorosa crescita, di difficoltà oggettiva nell’accettare e subire il cambiamento esistenziale: INSTAURATIO FACENDA EST AB IMIS FUNDAMENTIS! Kohpeh è identificabile nel tredicesimo libro apocalittico. Ma Kohpeh è anche la potenza e la sublimità. Kohpeh è Gesù in mezzo ai suoi dodici Apostoli.

 

N.4-Dyhtyhf

 

Dyhtyhf  boreotropico è l’amore. Si manifesta attraverso la filantropia e la liberalità, totali e sconfinate. Si tratta dell’amore per ogni cosa, indulgente e comprensivo. La vita è motivata dall’amore di Dio, che forma lo stereobate sul quale essa stessa si fonda. Il creato viene edificato sull’amore, sulla possibilità di polarizzare verso di sé, di indulgere, di alimentare tanto i buoni quanto i cattivi. E’ affetto, abnegazione, è il cuore che vuole avanzare verso il prossimo. Dyhtyhf è il raggiungimento della perfezione, la materializzazione della generazione, l’ingresso nella realtà fisica, sensibile, ovvero dei sensi. E’ l’attecchimento della semente nella sostanza-terra, la concezione dell’embrione nel ventre, la materializzazione dell’idea nel concreto. E’ lo spartiacque tra increato e creato. E’ la stabilità che racchiude, alimenta, difende la creazione, il creato. La diversificazione oggettiva attraverso la struttura (attiva) tuttora difesa dalla natura-terra (passiva). L’entrata nella carne. La maturazione. E’ il concetto di morte, inteso come nascita, come una transizione da una fase ad un’altra. Solidità. Staticità. Potenza in essere, consolidata. Il sangue è denso, è impulso. Armatura, protezione dalle tenebre nelle quali la creazione prende forma.

 

Compattezza che diverrebbe soffocante se non venisse raffreddata dall’acqua. Bipolarità. Potere duplice, diverso nella struttura, ricettiva e penetrante. L’idea si sviluppa. L’essenza della materia. Perfezione.Stabilità. Tangibilità. Sensibilità. Sostanza passiva non procreatrice, ma che ingloba tutto quanto procreato. Spazio. Spirale sferica. Ciclicità del tempo. La fermata minima per una meditazione d’obbligo.

 

Dyhtyhf austrotropico è la ripresa del cammino interrotto. La speranza di una nuova alba è ininterrottamente presente, ma la strada non è breve ed è in ascesa. Bisogna sopportare, quanto basta per blandire e temperare le energie. E’ la coscienza dell’istanza di amalgamare equilibratamente le antitesi. L’anima è cosciente che le antitesi sono d’oro, divine. Amalgamare, equilibrare le antitesi. Interazione, sinapsi di energie equivalenti. E’ sufficiente aprirsi, recepire, riversare, per trasformare l’energia fisica e spirituale. Non bisogna trascurare le istanze materiali

 

e quelle non materiali. Ci si deve impegnare a fondo, attentamente, per miscelare le antitesi e diventare integri. Trasmutazione. Purezza. Rigenerazione. Tutto attraverso l’amore. Fusione di sacro e profano. Palesamento di corpo e spirito, tuttavia ancora scissi, che hanno bisogno di essere mescolati. Fluire di un elemento verso l’altro, di un elemento dentro l’altro per vivificarsi, facendo uso dell’energia scaturita dalle antitesi.

 

N.5-Lyhkahs

 

Lyhkahs boreotropico: la luce accecante di Dyhtyhf è eccessivamente forte per gli esseri soggetti a limitazioni e, nel caso questi venissero investiti dalla luce, verrebbero mortalmente ustionati. Così,

 

Lyhkahs si prende l’impegno di regolare e canalizzare la luce di Dyhtyhf. E’ l’energia adatta a mettere un confine o addirittura fine alla vita. Sebbene abbia delle sfumature non proprio positive,

 

se Lyhkahs non esistesse, l’amore non avrebbe modo di concretizzarsi, poiché non riuscirebbe a trovare un contenitore adatto. Lyhkahs è il fuoco che infiammato ed appassionato, scorta, segue l’amore. Se Lyhkahs non esistesse, l’amore risulterebbe soltanto un sentimento caritatevole e degno

 

di lode, tuttavia privo di forza, di energia creatrice. Nel cuore irradiato da luce divina, Lyhkahs diventa una virtù: la paura di Dio! Lyhkahs boreotropico è la gleba solcata dal vomere per accogliere la semente. E’ l’utero pregno di roride gocce che alimenta la gleba stessa. La requie, le tenebre, che profferiscono linfa alla semente. E’ l’accoglienza del ventre materno. E’ il diverso sé. L’ antitesi che centripeta, poiché alimenta, perfeziona. Le tenebre, che inglobano gli arcani imprescindibili della la sinapsi, dell’integrazione. La sofìa esoterica, gnostica…ètra, illibatezza, anima. Inconscio. Grande destrezza nel lasciarsi condurre dall’intuito. Rigogliosità. Consistenza. Saggezza. Leggi universali. I misteri dell’ aldilà. I cicli ritmati della natura. Sofia delle polarità. La gleba si squarcia e lascia entrare le due sementi dei principi maschile e femminile. Lacerazione, polarità. La sofìa che impone limiti e, quindi, ingloba. L’utero universale che si lascia penetrare dall’energia del creato per dare corpo all’individuo singolare.

 

Lyhkahs austrotropico è la negazione dell’anima, del divino. E’ lo sprofondamento nell’abisso dei

 

sensi. E’ l’indistinto, la nausea. L’anima incontra seri ostacoli nella realizzazione della sua catarsi, della sua anagogia. Questo sprofondamento nell’abisso della materia è inderogabile evento per

 

rimbalzare verso la nuova anabasi. L’uomo è pure materia e deve tenerlo sempre in mente, altrimenti può rimanervi impantanato. E’ una metamorfosi eterogenea. Materia in corso di metamorfosi i cui effetti sono insondabili. Violenza della forza. Sbigottimento derivante contesti demoniaci. La passione può sortire paradossali sensazioni dionisiache, da baccanale o, antiteticamente: ascetiche. L’essere si trova al cospetto della propria anima, della propria VIS, ARS INVENIENDI. In virtù della dinamicità con la quale si cimenta con “l’altro”, risulta l’impiego che ne fa: edonismo egoistico oppure sinapsi degli aspetti umano e divino. Questa è l’ordalia ontologica che manifesta se l’individuo singolare e misoneista si è metamorfosato in individuo cosmico. In quanto individuo cosmico sarà ben consapevole di avere una duplice natura: umana e divina. L’incontro-scontro con l’altro, non privo di turbolenze e passioni, ne farà un essere nuovo, migliore. In quanto individuo singolare, l’uomo ha l’obbligo di confrontarsi con “i limiti”, al fine di apprendere la distinzione e sarà distrutto o distruggerà “l’altro”.  Imparerà ad accettare i doveri, gli obblighi che scaturiscono dall’Eros, per tornare, come Araba Fenice, ad una vita inusitata, risultato della sinapsi con “ l’altro”.

 

N.6-Vohqehs

 

Vohqehs boreotropico è lo specchio che si assume l’onere di dare euritmia alle due antonimiche forme operative di Dyhtyhf e Lyhkahs. Vohkehs è un aggregato policromo, vale a dire la metabiosi

 

di eterogenee sfumature di colori e peculiarità, compendiati in una singola ipostasi. Si manifesta nelle multiformi impressioni avute ammirando la bellezza e l’euritmia delle forme. Vohqehs è misericordia, è l’amore senza confini che può elargire ricompense ed elogi, tuttavia anche biasimare

 

e castigare serenamente, laddove ve ne sia istanza e ,questo, per far si che il positivo si affermi sempre sul negativo, con un vigore vieppiù importante. Vohqehs è cuore! Vohqehs boreotropico è la coscienza delle antitesi, l’istanza di rinvenire un percorso che consenta alle due polarità di vivere ed operare insieme. Non è proficuo tenere segregate le due polarità, bensì è necessario metterle alla prova ed equilibrarle. Sindèresi, libero arbitrio, devono essere equilibratamente miscelati con istinto ed irriflessività. Egosofìa, consapevolezza di ciò che si deve o non si deve fare. E’ un cimento, un esame per iniziare il percorso, per fare esperienze. E’ la comparazione con il lato opposto della polarità, intrinseco ed estrinseco. E’ il punto cruciale. E’ una decisione d’amore: amor proprio ed isolamento da una parte, dedizione e collaborazione dall’altra. E’ Vohqehs il primo, vero confronto con la realtà. E’ l’effettivo comprendere che in questo viaggio non si è soli, bensì esiste anche l’altro, spesso ricco di istanze ontologicamente antonimiche alle nostre. L’esserci dell’altro, non è più mera teoria, bensì realtà. Una realtà che non può più, non deve più essere ignorata e, questo, anche paradossalmente ricusandola, perché ricusandola, se ne prende comunque coscienza. Vohqehs è prendere una decisione, nella sua sostanza più profonda. Vohqehs può creare dubbio, lacerazione interiore e, per questo, far sentire fragile, penetrabile. Vohkehs è l’ordalia dei sentimenti, è il togliersi tutti gli abiti, è la nuova scoperta, la saggezza per mezzo dell’altro. E’ discernimento, disamina, scissione per, successivamente, integrare e migliorarsi in un’unica entità. Il vero amore comporta la comparazione e l’esperienza per mezzo e/o con l’altro. Creazione. Percorso spirituale dello scisso che riacquista l’integrità. E’ l’antitesi dell’essere umano con la divinità. E’ il demone del male che tenta di sedurre. E’ l’ordalia del bene e del male.

 

Vohqehs austrotropico: a posteriori dello sprofondamento “nell’” abisso dei sensi (Lyhkahs austrotropico) , si realizza lo sprofondamento “dell’” abisso dei sensi, che distrugge tutti i vincoli

 

incatenanti. Vohqehs austrotropico è la segregazione imposta da una troppo radicalizzata logicità,

 

vale a dire: eccessivo amor proprio! E’ il castigo che fa dolorosamente capire che c’è la possibilità di camminare in direzione dell’altro costruttivamente, evitando di barricarsi dietro bastioni che recludono. E’ l’obbligo che viene dall’alto di trasformare il proprio modo di rapportarsi. Orgoglio dell’intelletto, amor proprio che fanno sprofondare nel buio. Mancanza di oggettività nel discernimento, poiché si è smarrito il rapporto con il creato, con l’ambiente. Autoesaltazione,

 

autoinnalzamento verso il cielo, così remoti dalla realtà. Valori eccessivamente edonistici, materialistici. La superbia produce un devastante ritorno di fiamma che distrugge i bastioni dietro

 

ai quali ci si è arroccati e l’Io superbo cade nel precipizio, nuovamente spaccato, lacerato. L’edonismo, i sensi, il materialismo, vengono così annichiliti. Il ritorno di fiamma è catarsi, è purificazione. Tutto è plumbeo, indistinto. Nausea, pretensione mentale che non conosce altro se non sé stessa. Edonismo, materialismo, eccessivo piacere dei sensi, cristallizzazione e fossilizzazione dei sentimenti. Cacotrofismo rapportuale. Il dolore può, deve rendere il pensiero

 

franco e scorrevole, aperto. Vohqehs austrotropico è un riproporre la scelta, la possibilità di differenziare e di differenziarsi in relazione all’altro. Quando ci si astrae e ci si aderge smisuratamente, quando l’amor proprio non conosce limiti, ci si ritroverà segregati, non capiti

 

e soli, terribilmente soli, con la seria probabilità dello sprofondamento. Ma tutto ciò pure se non si

 

prendono decisioni, se ci si relaziona dogmaticamente: gli altri sono tutti o.k., ma non permetto loro

 

di penetrare il mio mondo. L’inerzia, la mancanza di azione, precludono ogni interazione rapportuale, fanno del cuore una brulla brughiera che diventa l’antitesi del Divino in quanto “l’altro”. E tutto diventa un’avventura solitaria in questa dimensione, un’avventura solitaria che esacerba, che distrugge l’anima.

 

N.7-Dehssuh

 

Dehssuh boreotropico è l’abilità di concretizzare e propalare nell’universo i sentimenti di Dyhtyhf,

 

procurando loro continuità e costanza, abbattendo le interclusioni che si interpongono agli onesti propositi. E’ perseveranza e risolutezza, è l’abilità nel trionfare, vale a dire il non farsi fagocitare, stordire dal successo. E’ l’impressione di certezza che permea colui che è consapevole di aver trovato il giusto ubi consistam. Dehssuh boreotropico è lo schieramento, la decisione relativi all’iter da intraprendere, con la coscienza di avere la necessità di giungere a chiarimenti con “l’altro”, di giungere a chiarimenti tra il proprio sé e l’altro proprio sé. E’ il trionfo che scaturisce dall’abilità nel relazionare e conciliare le polarità, collocandovisi in mezzo. E’ l’abilità nel padroneggiare i propri dualismi: attivo e passivo. Protezione dalla negatività. Ottima immagine di sé. Proseguire, non avere paura del destino, anche se sconosciuto. Pericolo, tuttavia, di tensione, di rigidità nel gestire i propri equilibri. La mente spazia nella realtà e nella concretezza. Possibile armonia. Il ciclo è compiuto. Si cammina adesso verso il rinnovamento. Dopo il completamento del ciclo, una pausa di riposo. Prima di continuare con il viaggio, bisogna riaccumulare energia. Incontro e fusione di attivo e passivo. Vibrazioni. Quintessenza della materia. La violenza e l’orgoglio sono domati. Le loro energie sono veicolate in direzione dell’armonia.

 

Dehssuh austrotropico è il bagliore divino che illumina il percorso per venir fuori dal dualismo tra essenza umana e divina, alla base di cui si trova l’eccessivo amor proprio. Si è realizzato il riconoscimento del proprio dualismo. La vera energia, il vero vigore, consistono nella verità ontologica, nella sottomissione a questa verità, che deve essere alimentata e propagata. Euritmia universale. Fiducia, desideri, giuramenti. Attenzione, tuttavia, alle fantasie stravaganti, alle utopie.

 

Necessità e grande possibilità, di apertura agli influssi dell’ universo. Riconoscere la propria dualità,

 

da vigore, quel vigore che permette di trascendere i propri conflitti, per mezzo del rapporto e della sinapsi con energie eterogenee. La consapevolezza della propria forza, intrinseca e non estrinseca, da la possibilità di completare il proprio percorso in questa dimensione. Euritmia tra razionalità e sentimenti.

 

N.8-Luhf

 

Luhf boreotropico ha il dovere di reificare le impressioni che scaturiscono da Lyhkahs. E’ l’abilità attiva del soggetto, adattata al divenire delle situazioni estrinseche. E’ la rapidità della metamorfosi,

 

il confarsi ad inusitate istanze. E’ la capacità di accettare la sconfitta, vale a dire il non lasciarsi accasciare dai fallimenti, bensì far tesoro di questi e comprendere in quale nuova direzione bisogna andare. E’ l’intuito dei propri interessi e di una buona attività mondana. Luhf boreotropico è genuinità, naturalezza, serenità nei confronti del divenire. Luhf discerne equilibrando. Lo spirito (Nehluhf) ha perfezionato la sua essenza (vedi: 11Nehmdahv) ed ora userà indistintamente per sé ed anche per l’altro sé, gli stessi parametri. Luhf ha “captato le parole di un’altra dimensione”. Le polarità sono bilanciate, omologhe. La parte destra è equilibrio, comando. La sinistra è capacità distributiva. Contenimento. Fede. Ricettività. Qui non c’è da veicolare, da canalizzare, ma semplicemente da essere simile all’altro.  Rigidità. Severità. Le polarità si sono fuse. Il soggetto si è emancipato dall’eccessivo amor proprio ed è diventato soggetto universale. L’ego si è addolcito. Il ciclo è compiuto. Fine dell’immobilismo. Questa situazione conduce alla distinzione dei due principi come rinascita o come intemperanza. Condurrà, nondimeno, ad una tempesta, edificante o annichilante, quale essa sia. Integrazione o battaglia tra il dualismo? E’ la fertilità dell’aspetto passivo stimolato da quello attivo. L’intraprendenza soggettiva che ignorerà l’altro come equivalente. Rivelazione. Nuova realtà. Distinguersi. Soggettivizzarsi come coscienza di sé rispetto al prossimo. E’ il vigore che proviene dall’individuo cosmico.

 

Luhf austrotropico riconduce alle fasi periodiche della natura. Luhf austrotropico è l’indefinito e l’indefinibile. E’ l’umidità necessaria a stemperare il calore eccessivo. Per positivizzare i sogni,

 

è necessario prendere la strada che conduce al traguardo. La transizione nella materia è ormai lasciata alle spalle. Non si deve continuare a riesumare il passato e, questo, al fine di non impantanarsi nel mare magnum dell’immobilismo. E’ inderogabile continuare il percorso, nella

 

consapevolezza che le tenebre sono soltanto defilate. Ergo, è probabile che si possa ancora sprofondare. E’ indispensabile riconoscere il proprio lato oscuro, relazionarsi con quella parte della psiche che da origini ad istinti e pulsioni. Il proprio lato oscuro deve diventare un amico e non continuare ad essere un nemico. Controllare i famelici impulsi bestiali. Una guida per l’anima.

 

Un trait-d’union tra il mondo immanente e quello trascendente. Vedere nella tenebre. Le polarità sono metabolizzate. Il rapporto con le tenebre è dunque indispensabile, al fine di disintegrare la materia e tornare a nuova vita. E’ la duplice sofia che procede attraverso quell’ essere appeso dentro

 

al chàos, quindi pure la decisione di abiurarsi, al fine di imboccare l’esatta direzione in armonia con

 

le fasi della natura. E’ l’altro lato, tenebroso ed insondabile, della luce.  Poesia, malinconia, frustrazione, afflizione. E’ il posto irreale, la coscienza che si riflette, con i suoi lati bui, che defilano trappole e mistificazioni. Tuttavia può essere una fase di relax, di speculazione e di analisi, che mettono in condizione di ghermire delle nuance che la luce del giorno renderebbe piatte. Invece, la luce di Luhf boreotropico sa essere fallace, apportare utopie e chimere. Ciononostante, l’utopia e le chimere possono diventare estro creativo, che alimenta l’intuizione e si lancia nel divenire.

 

N.9-Kyhtuhf

 

Kyhtuhf boreotropico è la sede ti ogni emozione, è la sostruzione arcana della soggettiva personalità, dei desideri reconditi, dei sogni, delle polarizzazioni emotive. Kyhtuhf è lo specchio che amministra il saper polimerizzare armonicamente ogni cosa che si possiede, per elargirla, per distribuirla e canalizzarla in direzione di un interlocutore adeguato, al tempo debito. Kyhtuhf amministra la sfera del sesso, la cui congrua manifestazione è la sostruzione dell’ individualità.

 

Kyhtuhf è la virtù della verità, interpretata come elemento inderogabile per un’armonica concretizzazione dei rapporti con il prossimo. Kyhtuhf boreotropico ci riconduce all’ètra diradata di Nehvvuh: dalle prime luci del mattino l’evoluzione si indirizza verso le morenti luci della sera. Barricarsi in sé stessi o nell’esperto sapere. Ricusazione degli impulsi. Integrazione delle polarità. Il cammino individuale è stato ultimato. Ha prodotto coscienza per mezzo della conversione degli istinti, da indipendenti , vale a dire”selvaggi” a “sottomessi”, vale a dire istinti passati attraverso la catarsi, da usare ora con senso del dovere. La pratica della vita ha prodotto saggezza, maturità. Tuttavia è indispensabile ponderare e analizzare. Il cammino lasciato alle spalle, che ha permesso di trascendere barriere e linee estreme, non deve produrre semplicemente astrazione, bensì deve spalancare una porta sull’universo che irradi completamente l’individuo. La vetta di un monte si aderge verso il creato, verso il luogo della trasformazione in altro elemento. E’ il luogo di transizione dal soggettivo all’oggettivo. E’ la fase che anticipa l’anastrofe ontologica di Nehmdahv (vedi n.10). Il lato bestiale si integra con quello divino. Il lato bestiale: la furia cieca, lo smisurato desiderio di conoscenza (finalizzata al potere) che esalta la boria. Il lato divino: energia positiva, paladina della giustizia e della sofia. Mistero. Eremitica elucubrazione. Il perpetuo ritorno a sé stesso. Canalizzazione verso un’ inusitata dimensione dell’egosofia, delle relazioni. Egografia profonda e completa, prima di intraprendere il percorso più elevato. L’assoluto!

 

Kyhtuhf austrotropico è la quintessenza della vita, la palingenesi ontologica, il fulgore, la felicità,

 

l’intuito sollecito e brillante. Kyhtuhf è il propagatore di luce e calore. Kyhtuhf è il frutto dell’ibridazione della logica e dell’intuizione. Kyhtuhf austrotropico e Luhf austrotropico barattano sovente alcune loro peculiarità. Kyhtuhf è il conscio, Luhf è l’inconscio. Kyhtuhf è l’ apprendimento intuitivo, Luhf è l’apprendimento che scaturisce dalla riflessione. Kyhtuhf è energia vitale, che ascende al cielo.  Kyhtuhf è propulsione verso la vita. Kyhtuhf è la fiamma che amalgama positivo e negativo. Kyhtuhf non porta abiti, non ha bisogno di abiti, perché è la quintessenza della purezza. Kyhtuhf è l’eternità dell’ amore. Kyhtuhf cavalca nelle tenebre (istinto) per portarvi sé stesso: la luce più pura(la ragione).  Kyhtuhf austrotropico, senza i freschi vapori di Luhf austrotropico, desertificherebbe ogni cosa. Kyhtuhf austrotropico è lo specchio che annichilisce il mondo dell’occulto. Kyhtuhf è l’Apocalisse, l’illuminazione.

 

N.10-Nehmdahv

 

Nehmdahv è lo specchio estremo, l’ultimo. E’ la sintesi delle proprie aspirazioni, la sensazione, l’impressione di ciò che ancora difetta. E’ l’elemento che da una ragione e canalizza l’azione di ogni altra capacità, possibilità. Per coloro i quali sono depositari di operati lodevoli, Nehmdahv

 

è lo specchio dove la luce inverte la propria strada, dove, invece di scendere, sale. Per coloro i quali, invece, non sono depositari di azioni lodevoli, è lo specchio da dove si risprofonda nel baratro,

 

dove si sperimentano la miseria, la morte esistenziale. Questo specchio, animicamente parlando,

 

è l’espressione dell’umiltà, in assenza della quale, ogni manifestazione di potere si fonderebbe

 

sulla falsità, causa di inevitabile crollo. Nehmdahv è la realtà corporea, la più prossima ai confini del male e, quindi, è lo specchio che esige l’ortodossia del bene, proprio per evitare contaminazioni col male.

 

Nehmdahv boreotropico è lo scorrere delle ore, del tempo. E’ il tempo delle somme, del perfezionamento. Il tempo di cui si necessita per adergersi e lasciarsi permeare dalle energie dell’universo. E’ la Dea Bendata che alterna le sue preferenze, che volubilmente innalza ed abbassa chiunque. E’ l’effetto delle proprie cause. Tollerarne l’onere, il fardello, esige vigore e compiutezza.

 

E’ intuizione bestiale, riguardo per la propria persona e per il creato. Tuttavia, l’onere, il fardello, non sono poi così pesanti. E’ necessario accettare gli obblighi che l’esistenza impone. Integralismo spirituale. Integrazione delle polarità. E’ il percorso in direzione della compiutezza, della totalità. La strada richiede duttilità, elasticità. Ci si deve scontrare ancora con le seduzioni del male, con le occasioni. Bisogna avere l’ardire di guardare negli occhi il destino, di non lottare contro le sue influenze. Bisogna comprendere che si hanno delle responsabilità nei confronti del mondo.

 

Accettare il giudizio sulle proprie azioni. Nehmdahv è coscienza che “l’ammonimento” arriverà fino al sè. E’ la fine di un ciclo, l’inizio di un altro. E’ un tornare all’unità. E’ la perfezione, è la

 

chiave di interpretazione del cosmo. E’ la sorgente, il rizoma della natura immortale. E’ la perfezione che da lo sofia del micro- e del   macro-cosmo. L’indistinto è stato marcato. Un inusitato ciclo indifferenziato sta per nascere. Nehmdahv è il dualismo ontologico, frapposto al cielo e alla terra.

 

Nehmdahv austrotropico è il risultato  del percorso che ha menato all’intendimento ed all’integrazione delle polarità. Ogni elemento dell’individuo è attivo, felicemente, e osanna l’Essere ormai Divino, che ha terminato il percorso tra le nebbia oscura. L’Essere, ormai Divino, emerge dalla nebbia oscura ed è lui, adesso, a pizzicare la cètra, un tempo di Orfeo. Il glissando della cètra

 

sale dagli abissi del labirinto e vi torna ormai trasformato, purificato. Il glissando, che desta i morti dal sonno, vale a dire tutte le forze rimosse, represse. Il glissando che fa prolassare i bastioni,

 

vale a dire le inibizioni limitanti. Le rigidità si distendono. Nehmdahv è, allora, perfezionamento raggiunto, è il dischiudersi di un nuovo uovo cosmico, dal quale nascerà un altro Nehvvuh, per un nuovo ciclo e di un altro ancora e ancora…fino al giorno della purezza assoluta, che lo renderà degno di varcare i propilei del diorama del labirinto, dove accedere alla sofia gnostica, dove vedere Dio. Nehmdahv è il rapporto tra elementi eterogenei, la catarsi delle polarità. E’ la giusta mercede per ciò che si è realizzato, nel bene o nel male. Nehmdahv può essere ricompensa o salato conto da pagare. Nehmdahv elargirgisce in maniera equa. Nehmdahv è sofia gnostica, è egosofia, è cosmotesmosofia! Nehmdahv è!!!

 

N.*-Nehvvuh

 

Nehvvuh boreotropico è la sintesi dei due mondi di pensiero: razionale e intuitivo. E’ l’inizio dell’abilità nel fondere ogni dualismo.  E’ ciò che dovrà essere e che è superato. La vacuità, il displuvio tra passato e futuro. E’ viaggiare nell’aria rarefatta. E’ la mente deflegmata da formae mentis precostituite che rendono “diverso” sia in positivo che in negativo. E’ essere al di fuori da ogni struttura o conformismo. Una fase singolare dell’esistenza. E’ il vigore anabatico del pensiero. Mancanza di consapevolezza e, nel contempo, ardire di osservare e scontrarsi con la vacuità esistenziale. Il baratro. Avere fede nelle proprie psichedelie ed avere il desiderio di trasformarle in realtà. Rischiare, senza mete definite. Freddo cinismo nei confronti delle critiche o della realtà circostante. Fobia, gelosia, rabbia da parte di chi non riesce a comprendere. Necessità, tentazioni alle quali non si riesce a resistere e che diventano una prigione. L’anima-guida, l’intuito che allerta.

 

L’essenziale dell’esperienza, deflegmata da tutto ciò che è contingente. Impulso, ardire, alienazione.

 

Proseguire senza preoccupazioni emancipandosi da ciò che è diventato zavorra. Purezza, palingenesi animica. Nuova realtà, ancora priva di struttura e cromia. La voce della purezza. Libera espressione infantile. Inconsapevolezza nell’agire o fare del male. Il vuoto. Il chàos, il vuoto aprirsi

 

precedente alla creazione. L’indistinto, il nulla in cui tutte le probabilità sono defilate. Il privo di nome, l’uovo cosmico che racchiude l’ermafrodito.

 

Nehvvuh austrotropico è l’ars inveniendi del cosmo. L’ortarchia. La compiutezza e l’integrità ontologica. E’ il rapporto delle uguaglianze. Sinapsi delle antonimie. Volere che non necessita di essere guidato. Purezza. Sacralità rivelata. Ciclicità della vita. Immortalità. Totalità. Ermafrodito.

 

Uovo cosmico. Non si avverte più l’esigenza di ascoltare la voce. La voce esiste. Porte Avatar.

 

Apoteosi della redenzione dell’energia universale. Energia diretta a formare l’essere individuale. Energia che promana dall’essere individuale. Energia orientata alla creazione dell’essere cosmico. Energia che promana dall’essere cosmico. Olosofia gnostica. Sinapsi euritmica con l’universo.

 

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Anabasi

 

 

 

Anabasi di un urlo agghiacciante

 

klimax che flebile nasce da

 

imi precordi d’un labirinto plumbeo

 

urlo agghiacciante che invade la mente

 

la mente fiume abiotico velato di bruma

 

urlo agghiacciante che rompe gli argini

 

che si aderge libero impetuoso

 

nell’etra priva di voci di suoni

 

nell’etra muta

 

urlo agghiacciante finalmente libero

 

dai limiti asfittici della materia

 

urlo agghiacciante sinapsi tra

 

imi precordi d’un labirinto plumbeo.

 

-

 

…al taglio di Atropo

 

 

 

Il giorno del mio funerale

 

chiunque vorrà recitare il mio necrologio

 

dovrà tenere in mente

 

che tutte le gioie che tutte le pene

 

che nel mio labirinto saranno sgorgate

 

tra il suo primo vagito e l’affannoso rantolo

 

che dalle vitali aure del giorno

 

obbedendo al taglio di Atropo

 

lo consegnerà ‘a cori d’Eliso

 

saranno appartenuti a lui e soltanto a lui

 

al mio labirinto!

 

-

 

Le Moire

 

 

 

Un sentimento m’è inesorabilmente glissato

 

tra i  lubrici, irremeabili meandri di Chrònos.

 

Dei miei ircocervi onirici più non mi esalto,

 

quasi suggestioni frustrate,

 

che su stelle aliene ha disperso, di Làchesi,

 

l’ineluttabile fuso della vita, banalmente, ovviamente.

 

Disorientato son io, senza lucidità, nel piceo labirinto,

 

in quegli anfratti tortuosi, tormentosi, dove,

 

quasi tempeste di furia bestiale,

 

riverberano spasmodici sussulti d’amore,

 

quasi clangori d’immobilizzanti catene.

 

Il cuore, lì, lacerato mi hanno i sentimenti.

 

Il cuore, che senza paura da lì non fugge,

 

quasi eroe, né ipocrita, né stoico, da lì non fugge.

 

Cos’altro, se non un eroe, Agiado Leonida,

 

alle pendici del Kallìdromon,

 

impaniato nelle bollenti Termopili,

 

non fugge al cospetto delle orde di Serse.

 

Ora cinico, tuttavia, le Moire asseconda.

 

Ed intanto, quasi acuminata, un’algida spada,

 

dentro le piaghe si agita e rosso dolore rigetta l’oblio,

 

rosso dolore, dalle lame di terebrante rubino.

 

Rosso dolore, che mai avevo provato!

 

Rosso dolore: làchesiano anatema del mio labirinto.

 

Rosso dolore, ed io, Prometeo, mi ribello,

 

invero, al quale arrendermi non voglio.

 

Al mio cospetto, là, dentro la psiche,

 

diafano  percepisco un profilo,

 

d’ogni cosa che fu, ch’eternamente tormenta:

 

una larva, aliando, druda,

 

nella dimensione dei rimpianti vissuti,

 

degli oblii annegati,

 

in mezzo alle nuvole, perdendo purezza.

 

Nella dimensione di vizze,

 

rosse camelie di speranza,

 

di laceranti passioni sfuggite.

 

E cosa importa, dopo tutto,

 

dopo tutto ch’io abbia trionfato

 

o ch’io sia stato relegato nel fango.

 

Un plesso inestricabile

 

il mio labirinto eternamente sarà!?

 

Clòto ha filato lo stame del mio labirinto,

 

Làchesi lo ha svolto sul fuso,

 

Atropo, con lucide cesoie,

 

inesorabilmente, finalmente, senza dolore,

 

lo reciderà!

 

 

 

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Published on e-Stories.org on 02.06.2017.

 
 

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