Quattro occhietti lucidi e senza palpebre si facevano spazio tra peli
fitti, grigi e appuntiti, in una testolina grande la metà dell’addome, tondo
e grassoccio, che le stava dietro. Come riesca, quell'esserino pelosetto, a
trasformare la carne della sue prede in fili elastici, collosi e
robustissimi, non è dato sapere, e deve essere un segreto che tutti i ragni
sanno ben custodire se l’uomo ancora non lo conosce. Un segreto che gli
consente di non appiccicarsi alla stessa tela che gli procura il
nutrimento.
La sagacità di questo insetto dovrebbe consentire, alla specie umana, di
mettere in forse la propria celebrata intelligenza, dal momento che la
trappola che l’uomo ha imparato a costruirsi, per sopravvivere, gli si è
incollata addosso imprigionandolo senza scampo.
L’uomo si compiace della sua tela, tanto che la chiama “progresso”, e per
lui poco conta che ci stia soffocando dentro.
Il ragno di questa storia è di quelli comuni, tondo, grigio e con una croce
sulla schiena.
È da un mese che osservo quello che combina, più o meno da quando è comparso
fuori dalla mia casa, e lui cura quello che faccio io. Dal suo sguardo
sembrerebbe deluso. Come dargli torto, al suo confronto io sembro un bipede
approssimativo. Lo squadrarmi pietoso mostra la sua convinzione che sia il
numero di zampe e di occhi a indicare le qualità intellettuali di un
essere.
Ma la tragedia che vive la mia specie, o forse solo io, non sta soltanto
nelle quattro zampe che abbiamo, neppure sufficienti per fughe dignitose.
Rispetto a lui io sono più grosso e pesante, ma s’intuisce subito che lui è
certo che la grossezza e il peso non sono aspetti correlati alla qualità.
Gli uomini, invece, ne sono convinti, al punto da credere di essere più
intelligenti delle donne per i dieci grammi che hanno di cervello in più,
senza sospettare che possano essere lì per aggravare ulteriormente le loro
responsabilità nel non sapere che farsene.
Il ragno, d'altra parte, ha cose più importanti da fare: costruire una tela
resistente agli incazzi della natura non è una sciocchezza, senza contare
l’impegno di tendere i cavi principali della sua struttura, per i molti
metri che separano i due muri del mio cortile.
Lo ha fatto di notte, sono sicuro per non rivelarmi il trucco, e al mattino
l’ho intravisto guardare con sufficienza il mio stupore.
Appena arrivato nei pressi della mia casa la tela voleva tenderla tra le
felci sotto alla cassetta della posta, un lavoretto da nulla per un ingegno
come il suo, ma io da lì dovevo passare spesso, così l’ha spostata in un
posto più sicuro, accanto alla mia moto, ma senza coinvolgerla. Ancora non
so se attraversi il mio cortile via terra o correndo per il perimetro dei
muri, con in bocca il bandolo della sua matassa, masticando e filando in un
continuum di spessore uniforme, per evitare che il filo si arricci.
Da parte mia bestemmio al minimo accenno di garbuglio, maledicendo di
essermi tagliato le unghie.
Ho notato che il ragno sistema la tela tutti i giorni, ma quando sospetta
che venga a piovere si ferma, e riprende il lavoro quando rispunta il sole,
andando avanti e indietro continuamente sui fili dell’ordito per
irrobustirli ispessendoli, ma senza esagerare, per non togliere loro la
necessaria elasticità.
Il nostro ragno ha piccolissimi denti, inadatti a mordere, eppure tutti gli
uomini hanno paura del suo morso.
Ma una cosa, a nostra difesa, c’è, perché noi maschi ci accoppiamo con le
femmine senza che queste ci divorino subito dopo, e questo è un fatto che
non ce lo può togliere nessuno, e adesso che me ne sono ricordato esco, lo
guardo fisso negli occhi, quel ragnetto insignificante, e lo derido,
ecchecavolo! In fondo se l’è cercata.
Lui sta lì, senza valutare il pericolo della mia stazza, così mi avvicino
imponente e lo fisso, sostenendo il suo sguardo curioso, e compongo nella
mia mente, per ritrasmettergliela, l’immagine di me che, dopo
l’accoppiamento, mi accendo una sigaretta, anche se non fumo, invece di
finire accoppato come accade a lui con la sua compagna più grossa di lui, e
proprio mentre capisco che sta ricevendo l'immagine dal fatto che fatica a
reggere il mio sguardo… la voce prepotente di mia moglie frantuma un
successo che era ormai quasi totale:— Allora, stronzo, hai finito o no di
lavare i piatti?—...
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Published on e-Stories.org on 08.06.2011.
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