Gabriele Zarotti

L'assassino immaginario.

(Se è vero che la vita imita l’arte, sarà bene avere sempre un buon avvocato a portata di mano.)
 
 
      Succede di essere assaliti da dubbi esistenziali. Da dove veniamo. Qual è il fine ultimo dell’uomo. Quanto c’è di vero nei sogni. Così come può capitare di sentirsi un po’ strani. Chiedersi se siamo davvero noi o qualcun altro. Esseri reali o immagini della mente. Padroni o vittime delle nostre azioni. In genere non ci facciamo caso più di tanto. Fa parte della vita. Le difficoltà, le preoccupazioni, lo stress… già! L’importante è che tutto si risolva nel giro di pochi minuti. Qualche ora, al massimo. Che, così come viene, ogni perturbazione psichica se ne vada. Dissolva senza lasciare tracce visibili. Prove che possono portare a dubitare di noi. Della nostra integrità. Fino a incriminarci…
      Non fateci caso, ho appena iniziato a scrivere una storia che si presenta densa di avvenimenti drammatici, dove mi sa tanto che ci scapperà il morto.  Ogni volta, prima di  immergermi nella scrittura, anche la più amena, attraverso una lunga e tortuosa fase di preparazione. Un training mentale che mi porta a calarmi anima e corpo nell’atmosfera di una trama che ancora non esiste. O è appena abbozzata.  E allora comincio con l’entrare nei personaggi.  Fare che i personaggi entrino in me. Una sorta di metodo staniwslasky fatto in casa, insomma. Da cui esco solo per andare al cesso, scorrere i titoli del giornale, e mettere qualcosa sotto i denti. Un percorso faticoso, talvolta rischioso. Il tributo che probabilmente ogni artista deve pagare se vuole lasciare la propria impronta. Nei casi estremi, un’esperienza che può  trasformarsi in via crucis. Talvolta in vera e propria ordalia.  L’importante è uscirne sani e salvi.  Come dice sarcastico Allen: … tornare a casa per l’ora di cena.
 
       Sono tre giorni che mi ha preso il blocco. Il foglio è là. Fa capolino dalla mia Underwood rosso lampone.  Candido, liscio, e illibato come appena estratto dalla risma. Mentre si chiede quando le lettere cominceranno a inondarlo, si prende burla di me.  Ogni volta che percepisce la mia presenza nella stanza non perde l’occasione di lanciarmi sferzanti provocazioni: ehi, scrittoreee…dico a te, battiamo la fiacca, mi sembra!  Come dargli torto, dopo essere partito a razzo, con tutto l’impeto e la baldanza, che ho in corpo quando inizio un nuovo romanzo, adesso sto qui piantato come la mia vecchia MG. Nella terra dell’immaginazione assente. Dove niente e nessuno sembra soccorrermi.
       In compenso sono tre notti che sogno. Una sorta di sequel onirico. Nell’ultimo episodio, evaporato poche ore fa, mi trovo in uno sconfinato campo di grano. Migliaia di spighe piegano ritmicamente le chiome, avanti e indietro, mosse da un vento sferzante e volubile. Poi, all’improvviso il cielo si oscura, al posto delle spighe ci sono adesso dei piccoli paralumi di pergamena accesi. Guardo tutto in soggettiva. A volo d’uccello. Sembrano tante lucciole. Improvvisamente vengo sospinto verso una collina. Plano sull’erba. Davanti a me uno specchio che si erge da terra come un monolito. Mi avvicino. Non riflette nulla. Poi, attraverso una fitta nebbia che agita la superficie, si fa rapidamente strada una figura che sembra viaggiare a mezz’aria. Ha il  corpo nascosto da un pesante tabarro, il viso appannato, e mi porge un oggetto avvolto in una sciarpa di seta rossa.  Allungo la mano ma ho la netta sensazione di afferrare il nulla. Lo sguardo corre alla mia mano, la apro, e scopro sul palmo una scritta: spesso la destra non sa cosa fa la sinistra! Adesso sono in fondo a un pozzo. L’acqua  a mezza gamba.  Si respira a fatica. Guardo verso l’alto. Nel cielo lunare le nubi corrono veloci. Mentre comincio a risalire attaccandomi alle pareti, una forza mi porta a percorrerle con movimento a spirale. Via via procedo, mi accorgo che le pietre sono completamente ricoperte da segni in lento, costante movimento, alternati abrevi scritte in un alfabeto sconosciuto. Seppure impercettibilmente, si muovono anch’esse mentre cambiano di posizione. Apparentemente senza uno schema preciso. Qualcosa mi dice che se voglio raggiungere l’uscita devo prima decifrare ogni cosa. E soprattutto spicciarmi, vista la precarietà del tutto… Mi sveglio all’improvviso, grondante sudore e più stanco di quando sono andato a dormire.
       Stamattina, dopo essermi divorato la colazione con più appetito del solito, tanto che stento a riconoscermi, mi sono rimesso al lavoro con rinnovate energie. Ho battuto sui tasti, quasi senza prendere fiato, per almeno quattro ore. Non mi sono nemmeno accorto della presenza di Burt. Chi è Burt?!!  Burt è un giovane di belle speranze che, per mantenersi all’università, mi tiene in ordine la casa, da quando quella cara donna di Adelina ha avuto la pessima idea di dipartire. È un po’ introverso. Parla poco. Ma fa quello che deve. Ogni tanto mi piacerebbe approfondire qualche argomento, ma lui riesce sempre a sottrarsi con qualche abile scusa.  Eppure sono certo che nella sua testa c’è grande fermento. Senza dubbio è un tipo sopra la media. Comunque, non posso lamentarmi. La casa la tiene in ordine. D’altronde quando sono all’opera, se si esclude il periodo che precede la stesura, in cui ci sono libri sparsi dappertutto, e foglietti d’appunti disseminati nei posti più impensabili, nell’appartamento non c’è molto da fare, se si esclude rifare il letto, passare l’aspirapolvere, portare la roba in lavanderia, e fare la spesa una volta la settimana. Credo che sia iscritto a legge. O scienze politiche?!!
       Sono passate sei settimane, la trama procede ancora a tentoni, ma i personaggi hanno preso corpo. Sono ormai tutti in campo. Sembrano vivere alla giornata, meglio sarebbe dire “alla pagina”.  In attesa che gli ultimi banchi di nebbia  cerebrale si alzino e rivelino l’intero progetto. L’unica cosa certa, ormai, è che ci sarà un delitto. Vorrei poter dire  “perfetto”, secondo il mito imperante nel mondo del giallo durante il secolo scorso. Ma, dato che non ci credo, non lo dirò. Quando la cronaca affibbia questo aggettivo assoluto a un delitto è perché l’autore del crimine, per quanto abile, ha avuto qualche aiutino  esterno. Una botta di culo, in parole povere. Alla faccia di tutte le masturbazioni di criminologi, sherlok holmes, e patiti del genere noirgiallothriller. Vuol dire, in pratica, che quando uno la fa franca, le circostanze lo hanno favorito. A prescindere dalla sua abilità. Spesso la mediocrità degli investigatori, il fato burlone, un tiro del subconscio, l’imponderabile della vita… Meno male che nel mondo virtuale dei romanzi, si riesce a far tornare i conti più facilmente.  Si possono piegare tempo, spazio, volontà, e soprattutto azioni degli individui… Compensare errori che la realtà non perdonerebbe mai. Nel mondo del virtuale, dentro la pagina, in pratica, siamo in balia del potere, spesso del capriccio, dell’autore. Anche se, personalmente, non amo violentare troppo il principio di realtà.
       Qualche incertezza, invece, rimane riguardo al colpevole. Mancando un maggiordomo, ed essendoci tanti sospettabili, credo che dovrò far ricorso ai dadi. Per fortuna, come ho detto, l’autore riesce a piegare sempre ogni cosa. Spesso decide strada facendo, all’ultimo istante. Secondo l’umore e l’estro del momento. Come si addice ad ogni work in progress che si rispetti. L’importante è che tutto risulti verosimile. Qui sta l’abilità. Adesso credo che mi fermerò un giorno o due per ricaricare le batterie e meditare su alcuni dettagli di fondamentale importanza. Notazione a margine: negli ultimi giorni mi sento un po’ strano. Qualcosa, dentro, non gira come dovrebbe. Non so descrivere i sintomi, né da cosa dipenda. Comunque non sembra toccarmi più di tanto, ho altro a cui pensare. Se la cosa dovesse ripetersi, telefonerò al mio analista. Sono mesi che non lo vedo, anche se lui continua a tempestarmi di messaggi. Forse sono in arretrato con l’onorario.
        Oggi è uno di quei giorni no. Mi sento peggio del solito. Non sono in me. Sto altrove. Sapessi dove, mi manderei una cartolina. Mi sono guardato allo specchio, e per un momento, pur riconoscendo la faccia, ho stentato ad attribuirle un nome. Non riesco nemmeno più a sorridere alle mie battute! Non è che la mia ostinazione a vestire i panni dei personaggi stavolta mi starà giocando un brutto tiro? Cazzate! Cosa mi salta in mente! Rimettiamoci al lavoro, rituffiamoci nei torbidi e melmosi anfratti della psiche…
 
       Pag. 265
    
      Aveva percorso e ripercorso il piano più volte. Lo aveva smontato e rimontato come un orologio. Tutto sembrava funzionare alla perfezione. Salvo imprevisti, sarebbe filato tutto liscio. Nessuno lo avrebbe notato. Si sarebbe mescolato alla folla, facendo perdere ogni traccia. Adesso non rimaneva che dormirci sopra qualche ora. Per arrivare  concentrato all’appuntamento…
 
 
      Sono stanco. Sarà bene che stacchi.  Mi sento svuotato, come un uovo da bere appena succhiato. Devo stendermi un po’ sul divano.  Prima, però, ci vuole un goccetto… ahhhh… ecco,  adesso  posso cedere alle lusinghe del sonn… dove mi trovo? Sto correndo lungo un corridoio senza finestre. E questa scalinata? Sembra non aver fine. Dove mai porterà? È disseminata di individui. Sembrano tanti manichini semoventi. Senza faccia, come quelli  di De Chirico... Mentre salgo i gradini a due a due  si parano davanti a me  in successione, e io  attraverso i loro corpi senza indugiare. Ecco, sono arrivato alla fine. C’è ancora una figura di spalle. Si gira. Sembra in attesa di un abbraccio. Mi avvicino. Sono dentro di lei. Ma dopo un po’ mi accorgo con angoscia che non riesco più a uscire… sono  prigioniero.
        - Buongiorno, signore. Brutta nottata ?!! Le ho preparato un bel caffè. Di quelli da far resuscitare i morti. Ecco qua il giornale. Il frigo è pieno. Io avrei finito.  Domani, come le avevo detto, non ci sono… a venerdì, dunque. Buon lavoro.
        Mugugno qualcosa che, più che un grazie, sembra il rantolo di un pachiderma a cui un pigmeo ha schiacciato un testicolo.
 
        
        Non gli era mai successo che la stesura di un’opera, soprattutto che il processo di dar vita e spessore al protagonista, gli richiedesse tante energie. Si sente svuotato. Come se avesse trasferito in lui parte di sé. Della sua mente. Della sua anima. Dorme e non recupera, ma quello che è peggio, ha dei black out di memoria sempre più frequenti, durante i quali non si ricorda più chi sia, né cosa stia facendo. Rimane col dito a mezz’aria sopra il tasto, un occhio fisso al martelletto, e l’altro che scorre quello che c’è impresso sul foglio, mentre si chiede di cosa si tratti. Chi ne sia l’autore. A volte gli sembra che la pagina faccia da specchio. Che rifletta la sua immagine. Che stia parlando di lui. E allora, d’improvviso, la fronte si imperla di sudore, un brivido gli percorre il corpo. Il sangue si gela. Per fortuna, dura pochi attimi. Anche se, col passare del tempo, sempre più lunghi e inquietanti. Beve il caffè che gli ha preparato Burt.  Sembra rinfrancarlo. Poi prende il giornale. E, improvvisamente, viene irresistibilmente attratto da un titolo : Misteriosa morte  a  Venezia… L’articolo  prosegue: Trovato cadavere, nel suo appartamento di Calle del Paradiso tale G.L., professore universitario.  Omicidio premeditato e di una tale ferocia da lasciare pochi dubbi sul fatto che si tratti di una vendetta. Da indiscrezioni, pare che l’uomo prestasse denaro a usura.........................................................................................  Per ora, la polizia mantiene il più stretto riserbo. In realtà brancola nel buio assoluto.
      La notizia lo colpisce a tal punto che da’ fondo alle poche energie che ancora gli restano. Forse perché conosceva, o meglio aveva conosciuto la vittima a Padova, ai tempi dell’università, quando teneva un corso su James. E lui, allora studente, aveva seguito qualche lezione a tempo perso. Fra loro non si poteva dire corresse buon sangue. Un giorno c’era stato un violento alterco in un bar. Forse a causa di una donna. Alla fine dell’articolo, un po’ per la stanchezza, un po’ per l’emozione, viene meno. Subito la mente, rotti gli argini, lo precipita dentro un nuovo sogno.  Un libro cade violentemente da uno scaffale, come attirato da una forza misteriosa.  Si apre all’improvviso, sollevando intorno a sé un gran polverone. Le pagine cominciano a prendere vita, agitarsi, sfogliarsi. Prima lente, poi sempre più veloci. Come impazzite. Mentre alcune lettere si staccano e vanno a stamparsi contro una parete:
                                                                                 
                                                                                             о k в и л н Р о k с а 

Ora cerca disperatamente di dare un senso a quella scritta.  Inutilmente. Appena prova ad avvicinare la mano per comporre la parola, le lettere sfuggono alla presa e cambiano posizione. Poi, come d’incanto, dopo aver a lungo vorticato nell’aria, sembrano  stabilizzarsi:
                                                
                                                                                             в о k и н л о k с а Р  

Gli basta uno sguardo per riconoscere quel nome:  basta leggerlo al contrario:
                                     
                                                                                             Р а с k о л н и k о в
 
Raskolnikov !
 
      Si sveglia di soprassalto con questo tragico nome che gli carambola nella mente. Cosa c’entra Raskolnikov? Se proprio vogliamo sarebbe più appropriato parlare di Mister Hyde! Davvero ignorante questo sogno! O forse allude al fatto che l’assassino del professore, sotto il peso della  colpa, oppresso dal rimorso, potrebbe subire adesso il castigo della coscienza, pentirsi.  Magari andare alla polizia a vuotare il sacco. Certo che il pentimento non rientra nella personalità  del protagonista della mia storia. Tutt’altra tempra. Adesso mi viene in mente che non ho ancora rivelato il suo nome. Ho solo raccontato la preparazione del crimine, tenendo nascosta al lettore la sua identità. Comunque, la sua psiche è incapace di cedimenti. Doppia personalità? Dissociazione? Temi affascinanti, ma io non ho previsto nulla del genere... non  era nelle mie intenzioni…non rientra nel  profilo che ho tracciato.
 
        Pag. 303
       
        La finestra lasciava filtrare appena la poca luce che arrivava dai lampioni in strada. Nella semioscurità, l’uomo, sprofondato in una vecchia Bergère di velluto amaranto, fu colto alla sprovvista. Non fece neanche in tempo a girarsi, che sei colpi, in rapida successione, lo centrarono al petto, al collo e alla testa, lasciandolo lì stecchito, senza neanche la magra soddisfazione di vedere in faccia il suo boia.
 
       
        Sto peggiorando a vista d’occhio. Ricordo poco o nulla. E poi quel sangue  sulla camicia… non riesco a capacitarmi. Tagliato non mi sono tagliato. Il naso... è una vita che non mi sanguina. Mi sembra di vivere in un sogno senza fine che, a poco a poco,  sta assumendo  tinte e contorni da incubo. A volte credo di impazzire. Devo cercare di svegliarmi. Ho paura. Ma in fin dei conti io cosa c’entro… cosa posso avere a che fare fare con un crimine così orribile. Un conto è raccontare…un altro… Il solo pensiero mi da’ i brividi. Lo conoscevo appena. Tutto risale a più di vent’anni fa.  Ai tempi dell’università. I nostri dissapori? Roba di gioventù… Certo che già allora aveva la fama di essere un gran bastardo, una fottutissima  carogna… ma da qui ad ammazzarlo come un cane. Non è possibile che non ricordi nulla. Cosa ho fatto nelle ultime sere? Nebbia. Neanche un dettaglio.  Dicono che prestasse denaro… chissà se è vero… e se anche fosse… Sono almeno venti giorni che non metto il naso fuori dall’uscio. Chi lo ha fatto doveva, comunque, avere le sue ragioni...
        È da un po’ che sto girando attorno a questo cassetto. Non oso avvicinarmi. Dovrebbe esserci la mia vecchia pistola. E se poi  dovessi… andiamo,  cosa mi salta in mente?  Mettiamo che abbia sparato? Impossibile! Comunque, devo trovare il coraggio di aprire e accertarmene, se no non trovo pace.  Cazzo, ma questa pistola è sempre stata carica… e invece ecco qua… neanche un colpo… vuol dire che ha sparato di recente! Allora io…io…quel vecchio…cazzo, cosa ho mai fatto? Come è possibile?  non sono un assassino!  Che motivo avevo? A parte quel litigio…la vecchia ruggine… niente di così grave da poter giustificare un gesto così estremo. E poi avrei covato tanto odio per tutti questi anni? E solo adesso… cazzo!  Se quel lui che cercano sono io, che ne sarà di me? La mia vita è distrutta!  La polizia. Il carcere. In carcere è dura scrivere, in carcere si muore… ho freddo… non voglio finire i miei giorni dietro le sbarre! Non riesco a capacitarmi. O Cristo!
        La notte lo sprofonda all’inferno. È disperato. Le gambe gli tremano. I denti sbattono. Le tempie gli pulsano fino a scoppiare. La febbre raggiunge il delirio. Le allucinazioni si susseguono una via l’altra. Nel buio e nel silenzio i fantasmi della mente prendono coraggio. Si fanno arroganti. Nelle loro scorribande, urlano indicibili presagi. Minacciano orribili sventure. Ogni ombra si ingigantisce in un gorgo indistinto di dubbio e paura. È tormentato dal rimorso, ormai convinto di essere colpevole.  Al mattino si sveglia di soprassalto! È in una pozza di sudore. Gli occhi gonfi. La testa gli fa male, gli gira ancora, mentre un martello percuote le pareti dall’interno.  Ma la sua mente è stranamente lucida adesso. Ci ha rimuginato a lungo, deve assolutamente cercare di volgere il pensiero altrove… e se si  trafiggesse la mano  col tagliacarte? Bisogna assolutamente che zittisca il senso di colpa, che si liberi di un po’ di zavorra se vuole sopravvivere in questo tumulto di sentimenti. Non ha né la tempra, né le difese di un criminale. Né, pensando a Raskolnikov, è convinto di appartenere agli uomini straordinari. Non c’è una Sonia a soccorrerlo sulla sua strada. Una donna che lo aiuterà a redimersi. Ma redimersi di che? Passi per Raslkolnikov.  Ma lui non ha fatto nulla…o forse sì! Di certo non ricorda. E se fosse? Magari avesse l’animalità, la malvagità di Hyde.  La forza e la consapevolezza del dottor Jekyll: manderebbe giù una pozione letale, e in un attimo metterebbe fine al suo dramma. Alle sue insopportabili angosce.
        Ho deciso, devo precederli. Devo vincere ogni indugio, prendere l’iniziativa. Correre al commissariato. Confessare tutto! Magari, visto che la memoria fa acqua da tutte le parti, mi riconosceranno l’infermità mentale. Macché infermità. Figuriamoci! Diranno che lo conoscevo, cosa del resto  che non posso negare.  Da quell’episodio di poco conto… o forse c’era di più?  e io  l’ho solo rimosso… dedurranno che lo odiavo. Nelle pagine del mio romanzo diranno che si nasconde - e neanche tanto - il mio folle piano omicida… del resto, a ben vedere,  potrebbe essere  il  vezzo di uno scrittore criminale, una sorta di  sfida... di confessione romanzata.  E l’arma del delitto nel cassetto? Oltretutto scarica! E  poi non ho  uno straccio d’alibi per quella notte.  Questo taglia la testa al toro. Non c’è via d’uscita. Sono perduto. Finito. Finito.
 
       
        È una squallida stanza di uno squallido commissariato di polizia. Un uomo, dietro a un fatiscente computer, non aspetta altro che poter registrare, punto per punto, le sue parole. Vicino ad una scrivania che sta in piedi per miracolo, il commissario, col viso attraversato da quell’espressione un po’ cosi... di chi ne ha viste talmente tante che niente  può sorprenderlo più,  all’improvviso si gira.  Gli punta  gli occhi addosso.
      - So perché è qua. Ma prima che protesti la sua innocenza, le dico subito che è tutto inutile. È tutto chiaro ormai.
      - Ma io…  io volevo con…
     - Lei cosa? Lei ha corso un bel rischio e basta. Se l’assassino,  dopo aver compiuto un delitto - oserei dire  perfetto - oppresso e stremato dal senso di colpa, non avesse spiattellato tutto, adesso lei si troverebbe in un grosso guaio…davvero grosso!
      - Non … non capisco!
      - Burt, il suo… come vogliamo chiamarlo… colf ?!! ha confessato. Tuttooo! Per filo e per segno. Non solo che ha ucciso il professore, ma che ha tentato di addossarne la colpa a lei. Disseminando prove tali da inchiodarla. Peggio di Gesù alla croce! Dal sangue della vittima sulla camicia, alla pistola.  Alle sue impronte, lasciate ad arte un po’ dappertutto. Di tanto in tanto le somministrava un po’ di ecstasy per offuscarle la memoria così, una volta arrestato, sarebbe caduto in tante di quelle contraddizioni che il cappio le si sarebbe stretto attorno al  collo più rapido di un pensiero. E poi, figuriamoci, dopo aver letto il racconto che ha in cantiere, nessuno, neanche Perry Mason, avrebbe potuto evitarle l’ergastolo. Caro il mio dottore, lei ha veramente rischiato di finire i suoi giorni in galera. In America... zzzaaachete!... le avrebbero bruciato le sinapsi con una bella scarica. E senza pensarci su due volte. Dovrebbe accendere qualche migliaio di ceri a San Pentimento e Santa Confessione! Ahhh, i giovani d’oggi avranno anche cervello, ma non tengono carattere. Non possiedono la stoffa dei delinquenti. Non ci sono più i criminali di una volta! Questa è la verità!
 
        Il ribaltamento di situazione è così inaspettato e rapido, lo stordimento  tale, che non gli esce parola. Le pupille corrono rapide e spaesate al soffitto. Devono prenderlo di peso e sdraiarlo sul divanetto  da carrozza di terza classe nel corridoio. È in totale stato confusionale. Quasi comatoso. Il commissario dice all’appuntato di chiamare subito un medico, accompagnando l’ordine con stizziti gesti della mano. Poi, allontanati tutti, gli slaccia il bottone della camicia. Chissà se si riprenderà mai completamente. In ogni caso, visto tutto quello che è successo, c’è da dubitare che troverà la voglia per terminare il romanzo.  Peccato!  Adesso ha per le mani un finale davvero mozzafiato.  

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Published on e-Stories.org on 12.02.2015.

 
 

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